Questo subdolo virus, sin da quando è comparso sul pianeta, sta provocando enormi danni non solo al genere umano ma a tutta la società e agli ingranaggi che la fanno girare. Ogni santo giorno sfida la nostra pazienza, fiacca il nostro ottimismo, mette in discussione certezze che sembravano acquisite. E in più si diverte a farci domande un po’ birichine sul nostro ordinamento sociale. Ad esempio: Che senso ha tenere in piedi le Regioni se continuano a complicarci la vita anziché semplificarla? Il regionalismo, si può definire ancora una forma di autogoverno o non è diventato piuttosto un patetico teatrino in cui si esibiscono le “Repubblichette” di casa nostra? Siamo proprio sicuri che sia questa l’Italia che immaginarono i nostri padri costituenti? Lo scetticismo è d’obbligo. E se la pandemia si trasforma da emergenza sanitaria in una guerra di tutti contro di tutti, allora i rischi che lo Stato vada in frantumi sono tremendamente reali. Con questi chiari di luna, dall’autonomia differenziata all’anarchia, il passo è breve. In mancanza dello Stato che impone la sua autorità, è proprio questo lo scenario che si sta delineando, sia nelle Regioni del Nord che in quelle del Sud. Dinanzi ai pericoli che si stanno prospettando in questa seconda ondata, i governatori si muovono in ordine sparso. Sembrano agire come quei feudatari che, in pieno Medioevo, si ribellavano all’Imperatore e con tono sprezzante, gli mandavano a dire: “Rex in regno suo est Imperator”. A parte il fatto che la Costituzione non li definisce Governatori, per il semplice motivo che il nostro non è uno Stato federale ma una Repubblica parlamentare. In America, in Germania e negli altri Stati federali, i Governatori hanno ben altri poteri. Ma anche precisi e inderogabili doveri quando entrano in ballo la sicurezza, la salute e la libertà dei cittadini. E’ bastato un virus, seicento volte più piccolo del diametro di un capello, a far deragliare l’autonomismo in localismo, l’autogoverno in campanilismo e l’autorità dello Stato in un optional, a uso e consumo di Sindaci e Presidenti. Per carità, anche il Governo ha le sue colpe. Nessuno è perfetto a questo mondo. Ma, per chi governa lo Stato, è molto grave farsi trovare impreparato di fronte a un disastro annunciato, proprio come si sta dimostrando questa seconda e più aggressiva ondata di pandemia. Diciamoci la verità: lo spettacolo inscenato dalle Regioni è sempre più patetico e surreale. Scritte per lo più per fare il controcanto ai Decreti del Governo, le ordinanze hanno provocato solo confusione e disorientamento nei cittadini. Lo stesso Governo, preso alla sprovvista, insedia, a frittata fatta, una cabina di regia con i rappresentanti delle Regioni. Le quali, alla stregua di venti “staterelli”, non riconoscono l’autorità dello Stato, salvo poi a lamentarsi della sua assenza o della sua prepotenza. Per non parlare della leale collaborazione tra i poteri dello Stato, sempre invocata e puntualmente sbeffeggiata. Valga per tutte il ricorso contro quell’ordinanza sulla scuola, emanata dal Presidente della Regione Puglia Michele Emiliano, che viene accolto da un Tar e al tempo stesso respinto da un altro, sempre nella stessa Regione. E potremmo continuare così con altri esempi del genere, fino a domani. La verità è che il regionalismo, con questa tragedia della pandemia, ha perso completamente la bussola. Il Veneto, il Piemonte e la Lombardia reclamano l’autonomia differenziata che altro non è se non una secessione camuffata. Al Sud la situazione non è da meno. La Sicilia, in alcuni passaggi cruciali della sua storia, ha invocato il separatismo. Lo statuto speciale, spesso e volentieri, viene interpretato dai siciliani come una specie di “Magna Carta” della loro sovranità territoriale. Le altre Regioni del Sud, più a torto che a ragione, anziché fare autocritica sulla gestione clientelare, sulle infiltrazioni della criminalità e sui tempi arabi della loro burocrazia, imprecano contro lo Stato assente, patrigno e tiranno. Dopo la figuraccia della Regione Calabria che scopre un Commissario alla Sanità, a sua insaputa, veniamo a sapere che ben 700 milioni stanziati per la sanità stanno ancora lì nei cassetti della Regione perché i politici locali sono incapaci a spenderli con rapidità ed efficienza. Non è solo l’opinione pubblica ad avere le scatole piene di questo regionalismo all’italiana. Nel dibattito sono intervenute anche autorevoli personalità politiche che hanno ricoperto incarichi molto delicati nel Governo dello Stato. L’ex Ministro degli Interni, Beppe Pisanu, in un’intervista del settembre scorso alla Nuova Sardegna, è stato molto esplicito al riguardo. Ha detto, senza mezzi termini, che bisogna andare oltre le Regioni. Che il nuovo orizzonte non può essere né l’autonomia dallo Stato né il protettorato sulle Regioni meridionali. La nuova frontiera si chiama Europa. E questa pandemia sta dimostrando che alcuni grandi processi della geopolitica, come i flussi migratori, la lotta al terrorismo, il contrasto alla povertà e alle disuguaglianze, il lavoro per i giovani, vanno tutti governati da un’entità sovranazionale. I singoli Stati non hanno né la forza economica né quella politica, né quella militare per contrastare questi fenomeni epocali. La pandemia è uno di questi e dovrà essere combattuta non solo con la buona volontà delle singole nazioni, ma con la potenza di fuoco di un intero Continente. Se l’Italia, da sempre ventre molle del mediterraneo, pretende di fare da sola, sarà sommersa da un mare di guai. Se invece s’integrerà sempre più nel consesso europeo, potrà ricavarne solo benefici. “Dum Romae consulitur, Saguntum expugnatur”. Mentre a Roma si discute, Sagunto è espugnata. Così scriveva Tito Livio nelle sue Storie. Volendo spiegare meglio il concetto e applicarlo al tempo presente, potremmo parafrasare: mentre i Governatori litigano, la Sanità è espugnata. Prendiamo esempio da quello che sta succedendo in Europa. Appena la pandemia è comparsa nel nostro vecchio continente, tutte le sue istituzioni sono corse ai ripari. Il patto di stabilità è saltato. Il ricorso al debito pubblico è stato non solo consentito ma incoraggiato. È stato approvato il Recovery Fund, che non è solo uno strumento per rilanciare l’economia degli Stati membri, ma una tappa fondamentale per l’integrazione economica e politica, per la stabilità dell’euro e, in prospettiva, per la costruzione degli Stati Uniti d’Europa. Per contrastare questo veleno che ci assedia fin nelle nostre case, il Presidente della Commissione Ursula Von der Leyen ha proposto, finalmente, un progetto di sanità europea. Sono maturi i tempi per mettere su un’altra Santa Alleanza. Non come quella sottoscritta al Congresso di Vienna nel 1814. Questa volta si dovrà combattere tutti insieme contro un nemico invisibile. Un nemico che, se non lo contrastiamo a dovere, rischia di farci precipitare in quella stessa atmosfera di smarrimento e povertà che dominò l’Europa negli anni tormentati del secondo dopoguerra.
Michele Rutigliano
Giornalista, è nato a Ferrandina (Matera) nel 1953. Vive e lavora a Roma. Dopo la laurea in Legge si è specializzato in Scienza delle Comunicazioni Sociali alla Pontificia Università Gregoriana. Ha lavorato alla Camera dei Deputati, presso la Commissione Bicamerale per il Mezzogiorno, all'Ufficio Stampa e alle Commissioni Parlamentari. Nella X Legislatura è stato Segretario particolare del Vicepresidente della Camera On. Michele Zolla. Successivamente, in posizione di distacco, al Quirinale, presso la Segreteria particolare del Presidente della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro. Attualmente collabora con riviste e quotidiani su progetti legati allo sviluppo del Mezzogiorno.