Da genitore a mia volta, il lockdown non è stato per niente salutare. Ci sono diverse incompatibilità in campo: età e livelli energetici drammaticamente differenti, ruoli sociali raramente conciliabili con le richieste familiari, e via discorrendo. Insomma, si va in affanno e la produttività cala.
Per cui se da un lato non meravigliano affatto i risultati delle ultime ricerche sul burnout parentale, dall’altro forse dovrebbe rivedersi tutto il sistema perché è piuttosto evidente non funzioni, almeno alla luce dello scompenso tra richieste e risorse a disposizione. Per questo, il New York Times ha recentemente titolato che nell’economia ai tempi del coronavirus puoi avere un figlio o un lavoro, ma non entrambi.
E così, mentre da un lato impazza il dibattito su come meglio ripartire, dall’altro sono ancora molti coloro i quali trascurano il prezzo di genere che verrà quasi del tutto pagato dalle donne. Questo almeno per due ordini di motivi: il primo è la forte asimmetria sociale a causa degli stereotipi di genere, ha spiegato la sociologa Chiara Saraceno in un recente dibattito nel corso del Festival dell’Economia di Trento; il secondo è che questa crisi mina alle fondamenta il contatto sociale, ambito di elezione dell’occupazione femminile, ha aggiunto l’economista Alessandra Casarico nel corso dello stesso incontro.
Il risultato è che tutto ciò rappresenta un ulteriore fardello sulle spalle dell’economia, aggravando il già salatissimo conto presentatoci dalla pandemia, in qualsiasi direzione lo si voglia guardare: salute, produzione, consumi, tenuta sociale, eccetera.
Infatti, per chi un lavoro ce l’ha, il dilemma è se abbandonare un figlio per la carriera adesso che l’economia riprenderà a pieno regime e le scuole chissà se avranno riaperto e come; pensando invece a coloro che un lavoro l’hanno perso, il tema diventa la crescita delle sacche di povertà, con relativa ricaduta su diritti e opportunità delle fasce più deboli.
In altri termini, considerato che le mamme, volenti o nolenti, sopportano il maggiore peso tra le mura domestiche e sono quelle a maggior rischio di disoccupazione, il timore è che vengano spazzati via anni di conquiste in tema di uguaglianza di genere, ha sottolineato un recente rapporto delle Nazioni Unite.
Rovesciando il discorso, come può il Covid invece rappresentare un’occasione di progresso? I risultati di un recente studio realizzato da tre università canadesi e confermato da altrettante ricerche provenienti Paesi Bassi, Stati Uniti e Germania, offrono un indizio rivelando che la maggior parte delle famiglie ha confermato che i ruoli in casa si sono divisi in maniera più equa durante il lockdown. Inoltre, una ricerca prodotta da una società di marketing ha rivelato che due uomini su tre non avrebbero problemi nel continuare a lavorare da casa.
Insomma, un’opportunità esiste e si chiama flessibilità, “un concetto che non è stato supportato da molte aziende pre-pandemia”, ha dichiarato alla BBC l’esperta di risorse umane Caroline Whaley, “ma che ora è diventato chiave”. Tuttavia, ha concluso, l’ostacolo maggiore è rappresentato dai leader aziendali i quali dovrebbero supportare un reale cambio di cultura sul posto di lavoro perché tutto ciò possa avvenire.