Secondo l’OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico), è possibile che il PIL del nostro paese registri a fine 2020 un crollo del 14% rispetto al dato dello scorso anno. Si tratta, evidentemente, dello scenario peggiore prefigurato partendo dall’ipotesi di una nuova ondata di contagi a partire dal prossimo autunno, ma altri analisti ipotizzano che anche in uno scenario COVID-free, l’andamento dell’economia italiana non andrà molto meglio.
La premessa è che il settore finanziario non ha ancora compreso l’esatta portata dello shock e delle sue implicazioni di lungo termine, soprattutto sull’economia reale.
Gli effetti negativi delle politiche monetarie espansive, ha avuto l’inevitabile conseguenza, già prima della pandemia, di aumentare in modo esponenziale sia il debito che la leva finanziaria speculativa. Da questo punto di vista, lo shock da COVID-19 ha soltanto messo in luce problemi già evidenti dei pochi investimenti nell’economia reale. E’ palmare come un modello che punti alla quantità del debito e non alla sua qualità, e dal modo in cui esso viene utilizzato per favorire un miglioramento dei redditi reali, non è sostenibile.
Il vero problema, dunque, e che le politiche messe in atto alla fine aumentano i rischi di implosione ed instabilità di lungo termine. La tanto evocata liquidità, infatti, non è la soluzione a tutto, come leggiamo ogni giorno sulla stampa e, questo, per due evidenti ragioni. Primo: non è detto che chi ne dispone la indirizzerà verso chi ne ha bisogno e, soprattutto, che chi ne ha bisogno sia in grado di restituirla. In effetti, molta liquidità, nella sostanza aumenta esponenzialmente la propensione al rischio del sistema creditizio (banche, investitori, ecc …).
Ora se la liquidità generata dal quantitative easing della BCE non si trasformerà in credito produttivo, il sistema dovrà fare i conti (presto) con un credit crunch.
Su questo ci allarma la lettura dei dati dell’economia americana che evidenzia come, negli ultimi due mesi (nonostante il ruolo della Federal Reserve) siano fallite in USA oltre 1.600 aziende al giorno e, parallelamente, come il credito al consumo per consumatore sia crollato; in altri termini, la liquidità immessa nel sistema dalle banche centrali non riesce a prevenire i fallimenti, ma svolge la funzione per mantenere il denaro investito, cosi che non è la liquidità delle banche centrali che sostiene il sistema ma quella dei cittadini.
In conclusione il sistema è oramai fuori controllo, ed il mercato investe su asset ad elevati yield, sicuri della protezione degli istituti d’emissione. Detti titoli sono emessi da emittenti che, con i loro ricavi, non riescono neppure a pagare gli interessi passivi sul debito emesso in una fase di espansione dell’economia, figuriamoci, quindi, con le prospettive attuali. Il default è quindi nel sistema ed alle porte e la politica delle banche centrali, che acquistano titoli spazzatura, moltiplica le posizioni di moral hazard.
Conclusivamente, siamo in una situazione in cui il modello di crescita non produce più ricchezza, ma moltiplica e distribuisce il debito su sempre maggiori soggetti. Ha dunque ancora senso proseguire su tale strada o forse è più prudente fermarsi e pensare a come porre rimedio?