
L’appuntamento è di quelli imperdibili: Petra Magoni in concerto con il progetto “Canzoni in bianco e nero” accompagnata dal maestro Andrea Dindo. Il titolo del tour prende spunto dal periodo storico in cui le fotografie venivano realizzate in bianco e nero e Cole Porter, George Gershwin e Kurt Weill crearono una musica divenuta eterna. Grazie a quelle immagini il loro mondo è arrivato a noi e proprio attraverso quella dicotomia hanno raccontato le tante sfaccettature della realtà. Petra Magoni, cantante dalla vocalità magnetica, trascinante, potente come roccia e contemporaneamente sottile come un battito d’ali, ha esplorato diverse sperimentazioni, creando un’essenziale, quanto incisivo, duetto con Andrea Dindo, grande pianista e direttore d’orchestra di matrice classica. In attesa dell’appuntamento di giovedì 15 maggio al Circolo della Musica di Rivoli (TO) abbiamo intervistato in esclusiva l’artista per comprendere meglio il suo progetto e la sua storia artistica.
Petra, partiamo dai compositori scelti per questo progetto: Cole Porter, George Gershwin e Kurt Weill. Perché proprio loro?
Ero molto incuriosita dalla figura di Kurt Weill, perché iniziò dal cabaret berlinese nel periodo nazista in cui i brani sembravano delle canzonette, ma in realtà con testi molto crudi incentrati su guerra, prostituzione e temi simili. Poi, a causa delle leggi razziali, Weill si trasferì prima a Parigi, poi a Londra e infine definitivamente a New York. Lì, negli Stati Uniti, influenzato dall’atmosfera in cui viveva, cambiò il modo di scrivere. Infatti, compose dei veri e propri standard che si trovano nel Real Book [una raccolta di brani diventati standard jazz, ndr]. Questo lo ha reso un compositore stilisticamente diverso rispetto, ad esempio, alla sua Mack the Knife [il cui testo è di Bertolt Brecht, ndr].
Da “Musica nuda” a “Canzoni in bianco e nero”. La formula dei suoi concerti mantiene un assetto essenziale, in cui la parola assume una centralità. Quanto sono importanti per lei i testi?

Per me è fondamentale conoscere ciò che canto e avere consapevolezza di quello che canto. Mi interessa soprattutto trasmettere il significato di una canzone. Ogni brano, per me, rappresenta una piccola storia. Il duo, per me, è sempre un dialogo. Invece, quando si è di più, diventa una sorta di concertazione. Ma alla fine il significato delle parole deve arrivare ugualmente a chi ascolta. Però, è pur vero che in duo la comprensione è più facile. Tante volte con “Musica nuda”, al termine dei concerti, gli ascoltatori mi hanno detto che capivano per la prima volta il testo delle canzoni. E questa è una cosa che mi rende molto orgogliosa. Sicuramente prediligo la formula del duo, ma a dire il vero quest’anno ho tanti progetti che mi vedono coinvolta in formazioni più numerose.
Può anticiparcene qualcuno?
Partiamo da “Subversion” con gli Arkè String Quartet [Carlo Cantini al violino elettrico; Valentino Corvino al violino, oud ed elettronica; Matteo Del Soldà alla viola e Stefano Dall’Ora al contrabbasso, ndr], il 28 maggio all’Auditorium Giovanni Arvedi, a Cremona (Cr). Oppure “Opération Sultan”, nato dall’idea della chitarrista Roberta Roman, in cui sono sul palco con Lucariello (voce), Marine Rodallec (violoncello), Vincent Beer-Demander (mandolino), Marisa Mercadé (bandoneon), Roberta Roman (chitarra), Alberto Vingiano (basso) e Claude Salmiéri (percussioni). Questo progetto racconta una storia vera, cioè la deportazione nei campi di concentramento di circa 20.000 persone, quasi tutti italiane, precisamente di Napoli, che vivevano a Marsiglia. Nel 1943 il Governo filonazista di Vichy fu il responsabile di questa atrocità. In “Opération Sultan” mi cambio anche d’abito durante lo spettacolo, cambio un po’ il personaggio.
Quanto conta nella sua vita la ricerca della verità, lo spogliare le cose dell’apparenza?
La verità per me ha un’importanza fondamentale, tanto che non potrei mai cantare una canzone in cui non mi riconosco o di cui non riconosca l’importanza e la verità. In questo periodo in particolare sto facendo tutti progetti che abbiano un significato legato al mondo che ci circonda. Questi venti di guerra, questo non ricordare la storia. La verità deve permeare anche l’uso della voce, per questa ragione non amo i cantanti concentrati solo sul “cantare bene”. Il mio bisogno primario è di veicolare dei messaggi attraverso la voce.
Le sue performance musicali sono estremamente suggestive, si ha la sensazione di sentirla cantare con tutto il corpo, che si muove in maniera quasi rituale. Questi movimenti hanno anch’essi un significato?
I movimenti del corpo mi vengono spontanei, sono naturali. La voce è uno strumento che si trova dentro di noi. Non lo vediamo, non lo sentiamo come lo sentono gli altri, perché noi abbiamo anche l’orecchio interno, oltre ovviamente a quello esterno. La voce è uno strumento sempre diverso, differente uno dall’altro. L’utilizzo della voce non è facile, al contrario di quanto possano pensare tanti musicisti. Tornando ai movimenti del corpo, talvolta, quando mi riguardo nei video dei concerti, mi vergogno anche un po’.
Kurt Weill è un fulgido esempio di come le esperienze che viviamo condizionino anche il nostro processo creativo. Esiste una esperienza che ha influenzato il suo processo artistico?
Sicuramente non proprio come Kurt Weill, che ha cambiato totalmente il suo processo creativo e artistico. Però, man mano che la vita avanza e che le esperienze aumentano, si cambia il modo di cantare e la maniera di vedere le cose. In questo periodo, ad esempio, non sono molto interessata all’entertainment, ma voglio trasmettere dei concetti e raccontare delle storie vere.
Vuole lanciare un messaggio al suo pubblico?
Lo invito a venire al concerto. Penso che vederlo faccia del bene a chiunque. “Canzoni in Bianco e Nero” è un progetto ormai rodato, già portato sul palco almeno in quattro-cinque occasioni. Tutto sommato i brani sono abbastanza di facile ascolto. Proponiamo canzoni famosi come “The Man I Love” di Ira Gershwin e musica di George Gershwin, “Night and Day” di Cole Porter, “Speak Low” di Ogden Nash e musica di Kurt Weill. Si tratta di uno spettacolo fruibile, per tutti.