Donald Trump ha accusato la Corte penale internazionale di “aver intrapreso azioni illegali e infondate contro l’America e il nostro stretto alleato Israele”, e ha firmato un ordine esecutivo che impone sanzioni, oltre a proibire l’ingresso negli Stati Uniti ai funzionari, ai dipendenti e agli agenti della CPI, ai loro familiari più stretti e a chiunque sia ritenuto aver collaborato al lavoro investigativo della Corte. Il testo, diffuso dalla Casa Bianca, prevede anche il congelamento di tutti i loro beni negli Stati Uniti. I nomi delle persone prese di mira non sono stati immediatamente resi pubblici, ma nel precedente mandato il presidente degli Stati Uniti Trump avevano colpito Fatou Bensouda, allora procuratore della Corte.
Il testo punta il dito contro le indagini della CPI su eventuali crimini di guerra commessi in Afghanistan dagli Usa e da Israele nella Striscia di Gaza. Né gli Stati Uniti né Israele sono membri della Cpi. Ma a suscitare indignazione negli Usa è stata l’emissione di un mandato di arresto contro il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, ricevuto dal presidente americano martedì. Secondo i giudici della Cpi ci sono “ragionevoli motivi” per sospettarlo di crimini di guerra e contro l’umanità per Gaza. L’Olanda, che ospita la Corte penale internazionale, ha espresso “rammarico”: “Il lavoro della Corte è essenziale per la lotta contro l’impunità”, ha affermato il ministro degli Esteri olandese Caspar Veldkamp su X.
79 paesi Onu contro Trump
Netanyahu, che aveva definito la decisione antisemita, ha scrittu su X: “Grazie, Presidente Trump, per il tuo audace ordine esecutivo sulla Cpi. Difenderà l’America e Israele dalla corte corrotta, antiamericana e antisemita, che non ha giurisdizione né basi per intraprendere una guerra legale contro di noi”. Invece 79 Paesi membri delle Nazioni Unite hanno condannato, in una dichiarazione congiunta, le sanzioni nei confronti della Cpi. Tra i firmatari non figura l’Italia, mentre sono presenti Francia, Germania e Spagna, oltre a, tra gli altri, Paesi Bassi, Grecia, Irlanda, Danimarca, Portogallo e, fuori dall’Ue, la Gran Bretagna.
Si tratta di due terzi dei 125 Paesi che hanno ratificato lo Statuto di Roma che ha istituito la Corte Penale Internazionale. Nel documento i Paesi sostengono che le sanzioni “comprometterebbero in modo grave tutti i casi attualmente sotto inchiesta, perché la Corte potrebbe doversi trovare costretta a chiudere i suoi uffici sul campo”. Il rischio, aggiungono i firmatari, è anche quello di “erodere lo stato di diritto internazionale”. La presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen ha scritto su X: “La Cpi garantisce l’accertamento delle responsabilità per i crimini internazionali e dà voce alle vittime in tutto il mondo. Deve poter proseguire liberamente la lotta contro l’impunità globale. L’Europa sarà sempre a favore della giustizia e del rispetto del diritto internazionale”.
Nuovo scambio ostaggi
Oggi dovrebbe avvenire il quinto scambio di ostaggi nell’ambito dell’accordo per il cessate il fuoco tra Israele e Hamas, con la prima fase arrivata a metà strada. Si attende che il gruppo militante palestinese consegni la lista dei nomi prescelti, tre uomini, al primo ministro del Qatar Mohammed Al Thani che lo passerà al direttore del Mossad, David Barnea. L’inviato Usa per il Medio Oriente, Steve Witkoff, ha incontrato il premier qatarino e le discussioni si sono concentrate sulla seconda fase dell’accordo, alla luce delle consultazioni del consigliere di Trump con il premier israeliano Benjamin Netanyahu durante la sua visita a Washington. Stavolta c’è timore che le recenti dichiarazioni del presidente Usa Donald Trump sul futuro dei palestinesi da sfollare da Gaza possa far deragliare il processo. “Le dichiarazioni di Trump hanno un’influenza sull’attuale cessate il fuoco e sull’accordo sugli ostaggi ma penso che la prima fase assorbirà il “rumore””, ha commentato un funzionario al Jerusalem Post. Intanto, una delegazione israeliana è pronta a recarsi in Qatar questo fine settimana per negoziati. Netanyahu spinge per estendere la fase uno, puntando a ulteriori round di scambi ostaggi-prigionieri palestinesi, con l’intento di evitare il ritiro dell’esercito dal corridoio Philadelphi, previsto dall’intesa per il giorno 50 (oggi è il 21esimo) e da lui duramente avversato.
bombardamenti di Israele nel sud del Libano
L’aviazione israeliana ha bombardato alcune zone del sud del Libano dopo aver colpito nella notte altre località libanesi nella valle della Bekaa. Lo riferisce l’agenzia governativa libanese Nna, secondo cui i raid aerei nemici hanno preso di mira alcune località a sud di Sidone, a nord del fiume Litani, fuori dunque dalla zona del cessate il fuoco in corso dal 27 novembre scorso. Nella notte raid aerei israeliani avevano preso di mira la zona di Nabatiye, sempre nel sud del Libano, e quella di Baalbeck-Hermel nell’alta valle della Bekaa al confine con la Siria.