La protesta spontanea degli agricoltori ha spiazzato un po’ tutti: organizzazioni di categoria, maggioranza e opposizione. Essa ha un lato europeo e uno nazionale. Sul fronte europeo ha ottenuto la marcia indietro sulle norme per la riduzione dei pesticidi, la promessa di rivedere accordi con Paesi terzi che fanno concorrenza sleale ai produttori agricoli Ue e l’impegno a semplificare la burocrazia comunitaria.
I nostri agricoltori hanno strappato il taglio dell’Irpef agricola. Ma davvero può finire qui?
Non pare proprio. Perché la protesta dei trattori, che avrà domani il culmine a Roma, pone questioni di metodo e di sostanza. Che non riguardano solo l’agricoltura ma anche l’industria.
Ascoltare tutti prima di decidere
Il problema di metodo è questo: le decisioni che riguardano un settore o una categoria produttiva non possono essere adottate senza valutare attentamente gli impatti che ci saranno per le attività coinvolte. Questo principio vale per le decisioni comunitarie ma vale anche per l’Italia.
A livello comunitario l’ostacolo è rappresentato da un certo massimalismo delle burocrazie di Bruxelles che ascoltano pure ma non capiscono, perché obnubilate da schemi che si rifiutano di guardare in faccia alla realtà.
In Italia il problema è più complesso: le procedure di consultazione non sono adeguate, non coinvolgono tutti i soggetti interessati e sono spesso considerate più un inciampo che un’occasione per evitare di fare scelte che non funzionano. E questo succede non solo per la produzione agricola ma anche per i vari comparti dell’industria.
Politica industriale e agricola inesistenti
La questione di sostanza riguarda l’assenza di una politica di lungo respiro sia per l’agricoltura che per l’industria. Spetta allo Stato definire una strategia per i settori produttivi del Paese. Il libero mercato interno fa la sua parte ma non basta, in un mondo interconnesso. Ci sono storture che le politiche pubbliche devono correggere per rendere le nostre aziende più efficienti e competitive sui mercati internazionali.
Senza una politica industriale e senza una politica agricola si vive alla giornata, ci si accontenta di pannicelli caldi che non curano i mali dell’economia. Tocca allo Stato decidere se è giusto avere una frammentazione produttiva e agricola eccessiva, se non si debba puntare su aggregazioni facilitandole, se non si debbano individuare campioni nazionali e rafforzarli.
Il caso della moda
Un esempio? Il settore della moda. L’Italia dagli anni Sessanta è stata la culla della creatività in questo settore. Ma gran parte delle aziende, eccellenze mondiali, sono state acquistate da due gruppi che fanno capo a Pinault e Arnauld. Nel silenzio della politica che avrebbe dovuto intervenire per creare un grande gruppo italiano della moda. Vogliamo continuare così?