martedì, 30 Aprile, 2024
Esteri

“Finché sarò premier, Israele controllerà Gaza”

L’Ue potrebbe proporre oggi un documento sulle conseguenze di un "no" di Tel Aviv alla soluzione dei "due Stati.” Oltranzismo di Netanyhau

Ieri Benjamin Netanyahu è tornato sui motivi di tensione tra Israele e Stati Uniti: “ho chiarito al Presidente Biden la determinazione di Israele a conseguire tutti gli obiettivi della guerra e a garantire che Gaza non rappresenti più una minaccia per Israele” e ha aggiunto che “dopo aver eliminato Hamas”, non ci sarà “a Gaza nessuno che finanzi o educhi al terrorismo o invii terroristi. La Striscia deve essere smilitarizzata e restare sotto pieno controllo di sicurezza israeliano.” Il premier israeliano ha poi respinto le richieste di Hamas per il rilascio degli ostaggi, ossia “la fine della guerra, l’uscita dell’Idf, la liberazione di assassini e stupratori e la sua permanenza al potere.” “Solo la vittoria totale garantirà l’eliminazione di Hamas e il ritorno dei nostri ostaggi”, ha ribadito: “come premier di Israele sostengo questa posizione con determinazione anche di fronte apressioni enormi internazionali e interne. E’ stata questa mia ostinazione a impedire per anni uno Stato palestinese che avrebbe costituito un pericolo esistenziale per Israele. Finché sarò primo ministro, questa sarà la mia posizione.”

Anche l’Ue preme Netanyahu

Infine secondo il Financial Times oggi l’Unione europea potrebbe proporre un documento che illustri le conseguenze di un “no” di Israele alla soluzione dei “due Stati.” In un documento che l’Ue potrebbe proporre al Consiglio Affari Esteri, Bruxelles propone ai 27 di “esporre le conseguenze che prevedono di avere in caso di impegno o di non impegno” da parte di Israele con la loro proposta di piano di pace. Il piano prevede la creazione di uno Stato per la Palestina e il riconoscimento reciproco della sovranità; la cosiddetta soluzione dei due Stati.”

Ufficiali israeliani: noi determinati

Linea dura anche da parte degli ufficiali israeliani che hanno scritto una lettera aperta al Gabinetto di guerra per proprio Paese perché mantengano la condizione per il ritorno degli abitanti a Gaza legata alla liberazione degli ostaggi da parte di Hamas. Oltre 130 ufficiali e comandanti impegnati da tre mesi in combattimenti sul terreno si dicono determinati ad andare fino in fondo nella missione assegnata loro, ed aggiungono: “dobbiamo impedire agli abitanti di Gaza di tornare alle loro case finché tutti gli ostaggi non siano tornati alle loro. Non c’è motivo che Ahmed torni alla sua abitazione a Gaza prima che Ziv e Tal siano rientrati nel kibbutz di Kfar Aza.”
I firmatari aggiungono che alla liberazione totale degli ostaggi dovrebbero essere condizionate anche le forniture di aiuti umanitari per Gaza, nonché il funzionamento degli ospedali. Il testo è firmato dal Forum dei comandanti e dei combattenti della riserva.

Hamas riscrive l’attacco

Torna a farsi sentire Hamas che pubblica un documento nel quale spiega come l’attacco del 7 ottobre è stato “un passo necessario” e una “risposta normale” a “tutti i complotti israeliani contro il popolo palestinese.” Hamasha aggiunto che nel “caos” intorno al confine tra Israele e la Striscia di Gaza “forse sono stati commessi degli errori”, ma ha negato di aver preso di mira i civili, se non “per caso e durante gli scontri con le forze di occupazione.” “I combattenti palestinesi” durante “l’operazione” del 7 ottobre, si legge ancora nel documento, “hanno colpito solo i soldati dell’occupazione e coloro che portavano armi contro il nostro popolo” secondo “i valori islamici che impediscono di far del male “a civili, specialmente donne, bambini e anziani”. Questo nonostante è accertato che sono state uccise 1.140 persone, per la maggior parte civili, e altre centinaia sono state prese in ostaggio e non ancora tutti rilasciati. Intanto Israele prosegue una vasta operazione a Sud della Striscia, nell’area di Khan Yunis, dove è stata identificata una rete di tunnel e bunker sotterranei, in alcuni dei quali sono stati tenuti prigionieri civili israeliani.

Houthi, no Israele navi sicure

Sul mar Rosso gli Houthi hanno annunciato che 64 navi hanno attraversato le rotte “in sicurezza”, dopo aver issato uno striscione sul quale è scritto in evidenza: “Non abbiamo nulla a che fare con Israele”. Ad affermarlo in un post su ‘X’ è Mohammed Ali al-Houthi, membro del Consiglio Politico Supremo del gruppo. È “la soluzione più semplice”, spiega il post, “per consentire alle navi di passare in sicurezza mentre transitano dal Mar Rosso.” Gli Stati Uniti, con la Gran Bretagna, stanno contenendo le incursioni piratesche degli Houthi e la Casa Bianca ha anche reso noto che stanno prendendo “estremamente sul serio” l’attacco di militanti sostenuti dall’Iran a una base che ospita le forze americane in Iraq. “Missili balistici e razzi multipli” sono stati lanciati dai militanti sostenuti dall’Iran contro la base aerea di Al-Assad, nell’Iraq occidentale, nella tarda serata di sabato, ha dichiarato l’esercito statunitense, causando la morte di un iracheno e possibili vittime americane. “Si è trattato di un attacco molto serio, che ha utilizzato una capacità di missili balistici che rappresentavano una vera e propria minaccia”, ha detto il vice consigliere per la sicurezza nazionale della Casa Bianca, Jon Finer. “Risponderemo per stabilire una deterrenza in queste situazioni e per ritenere responsabili questi gruppi che continuano ad attaccarci.” “Potete essere certi che stiamo prendendo la cosa molto seriamente.” Dalla metà di ottobre, ci sono state decine di attacchi contro i circa 2.500 soldati statunitensi in Iraq e i circa 900 in Siria, dispiegati con altre forze della coalizione per combattere i jihadisti del gruppo Stato Islamico.

Denaro sequestrato a Hamas

Nelle ultime settimane, inoltre, le forze di difesa israeliane hanno sequestrato circa 15 milioni di shekel (4 milioni di dollari) dalle roccaforti di Hamas e dalle case di personaggi di Hamas ricercati. Sarebbero stati sequestrati anche circa un milione di dollari americani, oltre alle valute dell’Iraq, della Giordania e dell’Egitto. Il Gabinetto israeliano ha anche approvato il trasferimento alla Norvegia – parte terza nel conflitto – delle somme derivanti dalle tasse raccolte per l’Autorità nazionale palestinese (Anp) e che finora erano state congelate a causa della guerra con Gaza.

Al Saud: bisogno di stabilità

Condizioni per il ritorno alla pace anche da parte dell’Arabia Saudita: non può esserci normalizzazione con Israele senza risolvere la questione palestinese ha affermato il ministro degli Esteri di Riad. In una nuova intervista, il principe Faisal bin Farhan Al Saud ha risposto alla domanda se non possano esserci legami normali senza un percorso verso uno stato palestinese credibile e irreversibile sottolineando che “questo è l’unico modo in cui otterremo il vantaggio. Quindi sì, perché abbiamo bisogno di stabilità e la stabilità arriverà soltanto attraverso la risoluzione della questione palestinese.”

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