I perenni incompiuti cantieri di riforma di giustizia e fisco sono il passaggio più difficile e delicato del Governo Meloni e – azzarderei – di ogni Governo del recente passato e del futuro prossimo.
Non entro nel merito degli stessi, salvo annotare che le esigenze di bilancio dello Stato – specie nei momenti come questo in cui si affronta in Parlamento la Finanziaria – condizionano un po’ tutto, facendo passare in secondo piano questioni di principio che, veramente, a mio modestissimo avviso, sono invece di urgenza estrema per i riflessi negativi che hanno sui cittadini. Specialmente allorché si muove da ciò per determinare, senza neppure un nesso concreto, l’immobilità dei progetti di riforma; o, peggio, l’adozione di provvedimenti specifici, che sembrano andare in senso contrario alle finalità dichiarate.
È accaduto più volte nel settore della giustizia, con l’approvazione di norme particolari, in contrasto con la visione liberale e garantista disegnata da Nordio: il quale, per giustificare lo strappo, ha spiegato, con linguaggio per una volta politico, che quello specifico provvedimento si sarebbe dovuto poi armonizzare con la riforma che sarà.
È accaduto in queste ultime settimane col fisco. Ben lontani dalla riforma che il Centro Destra (tutto, sia pure con distinguo) prometteva ed in assoluto contrasto col tema di pacificazione tra erario e contribuenti ecco spuntare nella “legge finanziaria” una norma per consentire ancora più facilmente al fisco di prelevare direttamente somme dai conti correnti. Una norma così liberticida e parziale che aveva indotto addirittura la premier Meloni ad intervenire per bloccarla.
E mi permetto sul punto di suggerire ai politici la massima vigilanza. I tecnocrati potrebbero apportare alla disposizione modifiche che solo in apparenza ne attenueranno la portata. Ma la tecnica di redazione delle leggi è molto raffinata ed un soccorso alla tesi meno liberista potrebbe avvenire anche con una parolina aggiunta magari in un altro delle centinaia di “commi” (a volte basta anche una virgola spostata, magari in una norma di principio che nulla ha a che vedere col problema del prelievo forzoso) et voilà il gioco è fatto. Sarà facile proporre un’interpretazione meno liberale e trovare una giustificazione giuridica per conseguire l’effetto voluto di dare mano libera al fisco. Non è una novità, peraltro, che la giurisprudenza qualche volta dia un’interpretazione diversa da quella voluta dal legislatore (magari anche creando qualche reato nuovo): quella giurisprudenza “creativa” che proprio il Ministro Nordio ha dichiarato non più tollerabile: ma non basta una semplice dichiarazione per fermare ciò che è ben più di una prassi giurisprudenziale.
Ma, tornando al tema fiscale, la promozione del “contribuente”, da presunto evasore per definizione, a “cittadino”, col riconoscimento di diritti addirittura elementari in una democrazia è ben al di là dal venire. Così come è ben lungi dal venire una riforma del fisco, impossibile come quella della giustizia.
Non si potrà avere, insomma, alcuna riforma, se non si cambia l’atteggiamento dei suoi protagonisti verso il problema.
Perché se nel settore Giustizia, fa notizia il Gip Perna che rifiuta 140 misure cautelari e che non vede nessuna prova nell’ipotesi di associazione mafiosa prospettata dalla Procura, vuol dire che siamo ancora lontani da una reale terzietà e di volere considerare – contro la legge e contro la Costituzione – le ipotesi accusatorie assistite da una presunzione di veridicità: laddove l’unica presunzione che il Diritto ammette è quella di innocenza: da superarsi con prove e non con teoremi inquisitori.
Così come nel fisco – se si volesse pervenire ad una effettiva pacificazione e se si pensasse al contribuente come cittadino – si dovrebbe cancellare più di mezzo secolo di “presuntuosità”: tante e tali sono le presunzioni poste dalla legge a favore del fisco, che hanno trasformato psicologicamente i funzionari del settore in presuntuosi operatori che non dubitano né della loro azione, né del potere di vessazione del contribuente “sicuro evasore”.
Soluzione, quella delle presunzioni legali, che rende certamente comoda ed agevole l’attività dell’Agenzia, ma che nello stesso tempo certifica la debolezza dell’azione pubblica: proprio perché per dare forza a sanzioni, accertamenti, rettifiche, lo Stato non avendo la forza di trovare prove, manifesta chiaramente la sua debolezza stabilendo presunzioni legali a suo favore o inconcepibili inversioni dell’onere della prova: non è il fisco che deve dare prova di una irregolarità commessa dal contribuente, ma è questi che deve provare di non averla commessa.
Una situazione che il bilancio dello Stato, perennemente alla ricerca di fondi, non permette di cambiare. Non a caso la norma contrastata dalla Premier Meloni era del Ministero dell’Economia.
Per attuare riforme che vorrebbero incidere proprio nel rapporto Stato-cittadino che esplica soprattutto nei settori Giustizia e fisco (ma anche in uno snellimento della burocrazia: fino all’annullamento secondo il mio vedere) serve, però, uno scatto politico.
Lo scatto di un governo che riesca ad imporre a poteri radicati come quello giudiziario e quello erariale, abituati ad agire in maniera autoritativa, di trasformarsi in parte, paritaria al cittadino: con gli stessi oneri e con le stesse regole procedurali, senza poteri vessatori e senza presunzioni che consentano percorsi agevolati e frattura del rapporto paritario che deve esserci tra Stato e cittadino in tutte le situazioni.
Alcune componenti del Centro Destra si impegnano col fisco unicamente per proporre sporadiche ed irripetibili riduzioni. Queste potranno fare piacere al contribuente, ma non risolvono.
Una riforma effettiva dovrebbe tendere a mio avviso ad una semplificazione, alla riduzione delle centinaia di adempimenti annuali imposti oggi, ad automatismi possibilissimi oggi: con la fatturazione elettronica e con la sostanziale eliminazione del contante il fisco sa tutto dei contribuenti a lui noti: neppure servirebbe la dichiarazione dei redditi.
Ma sarebbe già un passo enorme se si potesse pensare al fisco solo due o tre volte l’anno e non ogni giorno feriale.