sabato, 4 Maggio, 2024
Società

Rendere l’Italia un Paese per giovani

Quando La Discussione venne fondata da Alcide De Gasperi nel 1952, l’età mediana del nostro Paese era di poco inferiore ai 30 anni[1]. Oggi, invece, si attesta sui 44 anni. Un cambio macroscopico che, in poche parole, ci consegna un Paese invecchiato rapidamente e che, in prospettiva, lo sarà ancora di più: secondo lo scenario mediano elaborato da Istat, in Italia gli anziani con 65 anni o più, che già oggi rappresentano poco meno di un quarto dell’intera popolazione residente, nel 2050 saranno più di un terzo[2].

Ciò, al di là delle conseguenze economiche e sociali, avrà senz’altro ripercussioni politiche. Il dibattito pubblico, del resto, non può non tener conto di chi lo ascolta e di chi vi partecipa, in particolare attraverso l’esercizio del voto. E se più di un terzo della popolazione non è giovane, bensì molto probabilmente già pensionato, difficilmente lo sguardo di partiti e forze che partecipano alle elezioni saranno le politiche giovanili, le politiche per l’occupazione, le politiche per la casa, ecc.

Il rischio cui ci troviamo davanti, già urgente oggi e sempre di più nel futuro, è quello di escludere completamente la fascia più dinamica e creativa del nostro Paese, quella composta dai giovani, dalle decisioni che si ripercuotono sulla nostra quotidianità. Non solo perché i giovani saranno sempre meno, ma perché, già in questa fase storica, non hanno un’autentica possibilità di incidere nel dibattito pubblico che riguarda anche loro e di concorrere a quello che, in Costituzione, è indicato in modo esemplare come “progresso materiale o spirituale della società”.

Ci troviamo di fronte, infatti, a uno scenario sconfortante, dove il c.d. “divario generazionale” (studiato da anni dalla Fondazione Bruno Visentini), ovvero il gap tra la generazione dei padri e quella dei figli ha raggiunto una dimensione preoccupante e mai verificatasi prima. Una ricerca di Eures, in collaborazione con il Consiglio nazionale dei giovani, specifica come meno di un giovane lavoratore su due percepisce una retribuzione fissa mensile e che oltre il 40% del campione di under 35 riceve uno stipendio mensile inferiore a mille euro[3]. Un dato che si affianca a quello relativo al lavoro povero: come confermato da uno studio delle Acli, il fenomeno di lavoratori con un impiego che non è sufficiente a garantire uno stile di vita dignitoso colpisce in particolar modo proprio i giovani[4].

Del resto, sono soprattutto questi ultimi a essere occupati nei settori a bassa qualificazione come il commercio al dettaglio, i servizi e il turismo, maggiormente esposti a paghe ridotte e più vulnerabili alle crisi economiche scatenatesi negli ultimi anni, da quella dovuta all’emergenza sanitaria da Covid-19 a quella legata alla guerra in Ucraina. I progetti di vita dei più giovani, com’è immaginabile, hanno subito un forte shock, in quanto le opportunità di reddito e di lavoro, di realizzazione dei propri piani familiari e dei desideri di fecondità sono state compromesse dall’incertezza e dalla precarietà[5].

Anche l’attività politica di De Gasperi, soprattutto nei primi anni del secondo dopoguerra, ha avuto a che fare con incertezza e precarietà di un Paese, martoriato e fragile, da poco uscito da un conflitto. Eppure, in un famoso discorso del novembre 1950, De Gasperi aveva chiaro l’obiettivo: quello di tenere alta la fiaccola della speranza per i giovani, alimentandone i sogni e garantendo loro un futuro migliore.

Dobbiamo impegnarci per farlo anche oggi, con una prospettiva completamente nuova, che ribalti il nostro punto di vista: l’istituzione di una valutazione di impatto generazionale (VIG) delle politiche pubbliche andrebbe in questa direzione. Grazie a questo strumento, diverrebbe doveroso per il legislatore interrogarsi sui possibili effetti che ogni singolo intervento pubblico potrebbe avere sui più giovani e sulle nuove generazioni e – qui sta la vera sfida! – nell’eventualità che questa valutazione risulti negativa, introdurre dei correttivi a quello stesso intervento o ripensarlo completamente. Quel che è stato fatto sin qui e che ha creato i presupposti per una società altamente polarizzata tra anziani relativamente benestanti dopo carriere lavorative stabili e ben retribuite e giovani impoveriti da lavori precari e scarsamente redditivi, non dev’essere soltanto cambiato, ma valutato e letto con lenti nuove per formulare nuove strategie.

L’obiettivo è quello di reintegrare questa parte della nostra società emarginata e indebolita e farlo al più presto, garantendo ai giovani i diritti di cui hanno goduto i più anziani: da quello al lavoro a quello alla previdenza. Per far questo, servirà anche valorizzare maggiormente il ruolo di una piattaforma di rappresentanza giovanile nazionale come il Consiglio nazionale dei giovani e immaginare una legge quadro sui giovani che introduca un elemento di pianificazione pluriennale degli strumenti a favore dei giovani e razionalizzi le agevolazioni esistenti in un unico testo, aprendo, finalmente, un’altra stagione.

 

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[1] L’evoluzione demografica dell’Italia, Istat, 1° gennaio 2018, consultato il 5 settembre 2023.

[2] M. Finizio, “Nel 2050 in Italia saranno 5,4 milioni gli over 65 con gravi limitazioni”, Il Sole 24 Ore, 17 aprile 2023.

[3] S. Valente, “Lavoro, Eures: in Italia il 43% degli under 35 guadagna meno di mille euro al mese”, Milano Finanza, 9 agosto 2022.

[4] M. Carucci, “L’emergenza occupazione. Il lavoro povero colpisce donne e giovani”, Avvenire, 28 aprile 2023.

[5] AA.VV., La condizione giovanile in Italia. Rapporto giovani 2021, Istituto Giuseppe Toniolo, Milano, 2021.

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