sabato, 27 Aprile, 2024
Attualità

Un uso non etico dell’intelligenza artificiale può minare l’informazione e la società

Intervista a Stefano Ferrante, segretario di Stampa Romana

Quale sarà l’impatto dell’intelligenza artificiale sull’informazione? Il timore principale tra gli addetti ai lavori è che una errata interpretazione delle enormi potenzialità di questa tecnologia possa indurre gli editori, come già è successo tra i produttori di Hollywood che la usano per le sceneggiature, a pensare che gli uomini possano essere sostituiti in larga parte dalle macchine, condannando a morte la pluralità dell’informazione e lo spirito critico. Del delicato tema ne abbiamo parlato con Stefano Ferrante, giornalista politico-parlamentare de La7 e oggi segretario di Stampa Romana, il sindacato dei giornalisti.

La categoria dei giornalisti è un po’ in agitazione, come gli sceneggiatori a Hollywood, perché temono che l’intelligenza artificiale possa in qualche maniera sostituirli nel loro lavoro o ridurli a correttori di bozze. Lei cosa pensa a questo proposito?
Diciamo intanto che il rischio è doppio, perché l’intelligenza artificiale non è soltanto qualcosa che ci sostituisce, ma è anche qualcosa che si appropria del nostro sapere, della nostra conoscenza, della nostra cifra individuale. L’intelligenza artificiale si alimenta di dati e questi dati da dove vengono? Sono acquisiti sottraendoli ai legittimi proprietari. Questo avviene in modo anche legale, ma avviene. In secondo luogo, l’intelligenza artificiale rappresenta noi stessi potenziati e in questo senso è nostra antagonista, in grado di sostituire le nostre attività. Può renderci superflui, marginali. Io credo che non ci si sia resi conto fino in fondo dell’impatto di questa novità, in parte perché appartiene all’immaginario fantascientifico. Ma è già un qualcosa di concreto, concretissimo. Le preoccupazioni dei giornalisti e degli sceneggiatori, ma direi anche degli scrittori o dei musicisti, di tutti quelli che si occupano di attività immateriali, è fondata, ma va anche valutata alla luce dello stato delle cose. Oggi l’intelligenza artificiale non può sostituire completamente l’attività dell’uomo. Rappresenta comunque un rischio enorme, può minare la nostra società, con un impatto sullo stesso senso della vita. Sono i filosofi della scienza, i tecnici, gli scienziati della rete e della cibernetica che si devono occupare di stabilire limiti e modalità di uso. Noi come giornalisti possiamo appellarci intanto all’etica, che difende il valore umano, ciò che noi mettiamo in più quando raccontiamo una storia e che ancora l’intelligenza artificiale probabilmente non è anche in grado di dare.

A parte il problema del copyright, la paura in realtà sembrerebbe derivare da una scarsa conoscenza di questa tecnologia. Un po’ tutti gli italiani, compresi i giornalisti, non sono molto alfabetizzati, rispetto agli scenari internazionali. Cosa si può fare per formare i giornalisti e far comprendere che l’intelligenza artificiale ha tanti vantaggi, ma anche dei limiti oggettivi e che, quindi, non deve spaventare?
Come Stampa Romana facciamo attività di formazione, affidandoci a professionisti solidi, perché tutto ciò che non si conosce si teme, mentre ciò che si conosce in qualche modo si riesce a governare. E noi da questo dobbiamo partire. L’intelligenza artificiale non può sostituire un professionista, tecnicamente non ci siamo ancora, la percezione della realtà che noi abbiamo non è quella che ha l’IA. La distanza tra i prodotti è ancora molto visibile e tangibile. Però sicuramente se noi conosciamo come funziona, possiamo in qualche modo difenderci e utilizzarla al meglio.

In ogni caso pensa che si possa fermare?
Perché pensare di fare una battaglia di retroguardia per tornare a un mondo in cui queste cose non ci sono? Secondo me non riusciremo ad arginare l’intelligenza artificiale come non si è potuto arginare Internet, a meno che non si mettano in discussione i principi di libertà. Alla fine il grande tema dell’informazione è il tema della libertà dell’uomo e della dialettica tra autorità e libertà. L’intelligenza artificiale può diventare un’autorità coercitiva oppure noi dobbiamo difenderci da questa intelligenza artificiale con un’altra forma di coercizione, come avviene per esempio in Paesi in cui la penetrazione dell’informatica è limitata dalle dittature? Sono grandi temi, questi, non possiamo certamente scioglierli noi. Temi che richiedono un approccio filosofico, politico, etico, su cui non solo i giornalisti, ma la classe dirigente più in generale del mondo occidentale, non è ancora attrezzata.

Il problema potrebbe nascere sul fronte della controparte, quella degli editori che seguono logiche più commerciali. Se i giornalisti hanno bisogno di essere formati, gli editori andrebbero informati che l’IA non può fare il lavoro del giornalista, lo può solo coadiuvare. L’IA non è senziente, quindi tutta la parte della emotività, sensibilità e creatività dell’uomo non può essere sicuramente sostituita da formule matematiche. Come sindacato pensate di fare qualcosa?
Si, pensiamo di fare molto su questo, sia attraverso la formazione, ma anche con un grande dibattito all’interno del sindacato. Ma sarà la Federazione nazionale, la FNSI, che dovrà aprire un tavolo con la FIEG, la federazione degli editori. Il problema che, però, ravvedo, torno a dire, è etico e gli ostacoli potrebbero essere generazionali.

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