giovedì, 25 Aprile, 2024
Il Cittadino

La Chiesa al femminile

La mia incondizionata ammirazione per Sciascia mi fece imbattere negli anni in cui leggevo quasi un centinaio di libri l’anno, in un volumetto prezioso, di poco più di sessanta pagine, pubblicato quasi ottant’anni prima (nel 1902), che ho letto e riletto mille volte.

Si tratta de Il procuratore della Giudea di Anatole France (Nobel per la letteratura del 1921), il quarto volume della fortunata collana La memoria dell’editrice Sellerio di Palermo, diretta da Leonardo Sciascia e  inaugurata nel 1979 da un suo capolavoro, Dalla parte degli infedeli.

Il racconto di Anatole France è molto semplice. Narra del casuale incontro, alle terme, di due anziani patrizi romani, che non si vedevano dai tempi della giovinezza, Elio Lamia e Ponzio Pilato.

Lamentandosi dei malanni della vecchiaia si raccontano stancamente la loro vita. In particolare Ponzio Pilato, che ricorda come un incubo la sua non apprezzata missione di prefetto della Giudea: con le complicazioni della non semplice religione ebraica, incompatibile con le leggi di Roma, con la divinità dell’imperatore e che metteva in discussione tutto, con Giudei che si ribellavano, che vantavano pretese per lui assurde.

Neppure una parola su Gesù: eppure Pilato racconta di un pazzo che nel Tempio, sfasciò le bancarelle dei mercanti e Lamia ricorda di essersi invaghito di una certa Maddalena.

Pilato ha solo un vago e fastidioso barlume di memoria allorché Gesù viene evocato da Elio Lamia, che distrattamente gli chiedeva, finalmente!, di Lui. Ma un ricordo come di una cosa insignificante, solo una delle tante noie avute in quel periodo.

Ecco, da allora, ho avuto paura di fare come Ponzio Pilato, di non accorgermi, distratto dalle banalità del quotidiano, degli eventi e delle persone che mi capitavano e che invece veramente erano fondamentali. Paura, cioè, di vivere inconsapevolmente.

Mi è venuto in mente Anatole France in relazione ad un evento avvenuto in questi giorni, che ritengo sia di una portata eccezionale e che credo avrà conseguenze molto più profonde e durature persino della folle ed ingiusta invasione russa dell’Ucraina.

Un evento certamente notato dai mass media: e non poteva essere diversamente, perché proveniente dalla Santa sede; ma subito accantonato dalla nostra comunicazione, avida solo di attualità, di clamore, di possibilità polemiche.

Mi riferisco all’annuncio di Papa Bergoglio che all’Assemblea del Sinodo dei Vescovi (a Roma il prossimo ottobre), pur mantenendosi la natura episcopale, parteciperanno con diritto di voto anche una settantina di non vescovi e laici, la metà dei quali dovrà essere di sesso femminile.

Col che, calcolano gli esperti, ci saranno ben 41 voti femminili (sia pure su più di 400 aventi diritto al voto) dovendosi aggiungere alle 35 laiche, cinque religiose, da nominarsi necessariamente tra i dieci rappresentanti degli Istituti di vita consacrata. Nella pratica si tratta, sul punto, di applicare le nuove disposizioni che stabiliscono che i dieci chierici previsti fino ad ora come partecipanti al Sinodo, siano sostituiti da cinque religiose e cinque religiosi eletti, rispettivamente, da due organizzazioni religiose: l’Unione Superiore Maggiori d’Italia (USMI) e l’Unione Internazionale delle Superiore Generali (UISG).

A 41 si perviene aggiungendo suor Nathalie Becquart. Questa era già stata nominata proprio da Francesco, nei primi mesi del 2021, come sottosegretario del Sinodo. Ruolo che dava il diritto al voto: così che in maniera silente già da due anni nel Sinodo dei Vescovi (istituito da Paolo VI nel 1965)  c’era un voto femminile.

Del resto, è stato notato in Vaticano, quasi a volere fare passare la rivoluzione come un evento ovvio, «il battesimo è lo stesso per uomini e donne. E la sinodalità, il camminare insieme nella Chiesa, si fonda sul battesimo» (e consentitemi di annotare che il cristianesimo è l’unica religione in cui il rito di ammissione alla comunità, cioè il battesimo, è uguale per entrambi i sessi).

Ho già scritto, in questa rubrica, che l’evoluzione più clamorosa alla quale ho assistito in questa mia vita – fortunosamente divisa non tra due secoli, ma tra due millenni – è proprio quella della donna: passata da un ruolo subalterno e da una cultura repressiva ed umiliante, alla piena affermazione del proprio essere, della propria femminilità, al diritto all’istruzione, all’essere libera, disinibita e di godere della pienezza dei diritti civili e politici.

Credetemi che certe situazioni di anziane donne nella mia infanzia nel profondo Sud (specie tra i ceti meno colti) erano molto vicine a limitazioni che in alcuni paesi islamici ancora oggi vessano il genere femminile. Forse mi ripeto: ancora negli anni ’90 si leggeva nelle sentenze della Cassazione di concubine; la barbarie del delitto d’onore è stato abolito in Italia solamente nel 1981, con la stessa legge che aboliva il matrimonio riparatore: una norma che cancellava la colpa di chi stuprava una donna (magari anche dopo averla rapita) se poi la sposava; il colmo era che la donna così violentata, socialmente non aveva scampo: se rifiutava il matrimonio viveva a sua volta rifiutata dalla società, gettando nel disonore tutta la sua famiglia.

L’emancipazione femminile ha portato a una diversa morale: che ha inciso anche nella pratica religiosa. Una situazione che la Chiesa tollera, ma che non ha ancora regolato.

Ecco: un evento come quello che oggi vi segnalo, il genere femminile per la prima volta nella Storia nel cuore del governo della Chiesa Cattolica, è un fatto che non può lasciarci indifferenti. Seguiranno tante altre aperture e – ne sono convinto – magari con l’alibi della crisi di vocazione, si potrebbe anche arrivare al sacerdozio femminile.

Ma, come sempre, chi vivrà vedrà. Per me, vi assicuro, era essenziale annotare l’eccezionalità dell’evento e, anche se certamente non è Gesù, considerare la statura e la modernità di un Pastore come Papa Francesco.

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