giovedì, 28 Marzo, 2024
Ambiente

L’ingiusta discriminazione dei Criteri Minimi Ambientali

Per accelerare la transizione ecologica il ministero dell’Ambiente ha stabilito che la plastica raccolta dalla nostra differenziata sia riutilizzata per produrre gli stessi contenitori di rifiuti, sia i cassonetti sia le buste. Ma i produttori di contenitori denunciano che la plastica dei rifiuti urbani non assicura gli standard di affidabilità, sicurezza e tutela dei lavoratori previsti dalle regole UNI EN. Per comprendere se le recenti direttive aiutino davvero la sostenibilità o se, invece, paradossalmente la ostacolino terminiamo il nostro primo ciclo di interviste con la dottoressa Emanuela Stagno, Managing Director della Multicom srl del Gruppo ESE World, primo gruppo in Europa nella produzione di contenitori dei rifiuti.

La Multicom è stata la prima azienda a introdurre i cassonetti nel mercato italiano. Vi ritenete soddisfatti dai nuovi “Criteri Minimi Ambientali” introdotti dal DM 256/2023, che regolamentano il vostro settore produttivo?
La filosofia sottesa ai nuovi CAM, che spinge al riciclo e a una certa circolarità, coincide perfettamente con il nostro credo. Noi già adoperiamo molto più del 50% di materiali riciclati per i nostri cassonetti, ma nella direttiva è stato fatto un errore madornale. È impossibile utilizzare i rifiuti provenienti dalla raccolta urbana, che rappresentano un mix di materie plastiche che non hanno le caratteristiche del polietilene ad alta densità necessario per fabbricare cassonetti resistenti e rispondenti alle stringenti normative in materia. Sono tanti anni che noi utilizziamo il materiale riciclato e per avere un prodotto rispondente appunto a tutte quelle norme e poter garantire la stessa qualità di quelli prodotti da materie prime abbiamo maggiorato i punti di iniezione e fatto notevoli investimenti in studi, stampi e macchinari.

E da dove prendete il vostro materiale da riciclo?
Principalmente da contenitori ritirati dal mercato, possibilmente provenienti dai nostri stessi impianti. Di quelli usati si può praticamente riciclare quasi tutto. Oppure da fonti di polietilene ad alta densità estere.

Rifornendovi dall’estero o riciclando cassonetti usati, però, siete automaticamente esclusi dalle gare d’appalto nazionali se i CAM sono presi alla lettera, giusto?
Si perché nelle gare le premialità sono riconosciute solo a chi usa per il 50% i rifiuti raccolti esclusivamente dal Consorzio Conai, che però non ne certifica la qualità. E come ho detto prima, è impossibile costruire cassonetti con il mix fornito da Conai, dove troviamo bottiglie di plastica a bassa densità insieme ai tappi che invece andrebbero bene, tutti mischiati insieme.

Voi produttori come avete vissuto questo monopolio di Conai imposto così categoricamente dal precedente ministro?
A noi sembra abbastanza evidente che si sia trattato di un errore, che chi ha scritto questi CAM non fossero persone competenti, tecnici del settore.

Lei parla anche di un altro errore altrettanto grave, una vera e propria limitazione della concorrenza.
Noi siamo presenti in tutta Europa e ci sottoponiamo alla certificazione ambientale tedesca Blue Angel (der Blaue Engel) sempre più richiesta dalla grande distribuzione e, se vogliamo, ancora più severa di quella italiana. Ma anche questo non ci permette di partecipare alle gare pubbliche che premiano solo le certificazioni italiane come il Remade in Italy, ottenibile se il prodotto è 100% made in Italy. È una cosa che non ha senso, perché siamo una comunità europea con delle certificazioni europee. Quindi dovremmo poter produrre in Francia, Germania, Spagna, tutti paesi che fanno parte dell’Unione. Siamo un’ azienda italiana ma se produco all’estero non possiamo ottenere il marchio Remade in Italy. Il materiale da dovunque arrivi viene lavato, ripulito, rigranulato e deve corrispondere a determinate qualità. Io, poi, certificherò sotto la mia responsabilità anche penale che il cassonetto viene realizzato con materiale riciclato rispondente alla normativa vigente.

Pensate di intervenire in qualche modo per modificare la situazione?
Ne abbiamo parlato molto con PolieCo, il Consorzio Nazionale per il Riciclaggio di Rifiuti di Beni in Polietilene, nella speranza che intervenga a rettificare entrambi questi vulnus inaccettabili della legge.

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