sabato, 27 Aprile, 2024
Cultura

“Nottuari”, in scena i lati oscuri del reale

Al Teatro India Fabio Condemi si ispira ai racconti di Thomas Logotti

I nostri incubi sono cartine geografiche precise della nostra personale storia, dell’orrore subito e rimosso, di quelle ossessioni che sarebbero orrore a danno di altri se le agissimo. Eppure l’incubo è qualcosa di più, è altra forma di vita in un altro spazio; qualcosa di serio e portante, a cui guardare accettando il pericolo di perdersi, perché lì dentro è ben custodita un’altra lunga parte di esistenza che ha fame e sete e meno la guardi, più si agita per farsi ascoltare. È così che alle volte, l’orrore sfonda soglie imposte e si riversa nelle nostre vite. “Esiste un legame tra l’orrore e la bellezza? È vero che non sono riconducibili l’uno all’altra? Oppure la bellezza è figlia dell’orrore? Il bello è la parata immaginata dall’uomo per contenere l’orrore.” Queste parole indelebili, pronunciate dalla scena, sono il perno di “Nottuari”.

Il Teatro di Roma, da sempre in ascolto dei fermenti del contemporaneo, intercetta e valorizza nuovi creatori della scena, già riconosciuti nei contesti più prestigiosi, che innovano le mappe produttive contaminandole con sperimentazioni non convenzionali, come il giovane talento di Fabio Condemi, che in pochi anni ha lasciato un segno nell’estetica del teatro di parola.

Con rigore scenico e visioni di alto valore letterario, Fabio Condemi ha debuttato in prima nazionale al Teatro India, dal 22 febbraio al 5 marzo, con lo spettacolo Nottuari, ispirato ai racconti di Thomas Ligotti, tra i maggiori scrittori contemporanei di weird e horror, per esplorare i lati oscuri del reale facendo sbiadire le linee di confine dal sogno all’incubo in un ipnotico vagare, attraverso una produzione Teatro di Roma in sinergia con LAC di Lugano, Teatro Piemonte Europa, Teatro Metastasio di Prato ed Emilia Romagna Teatro ERT – Teatro Nazionale. Per la prima volta la scrittura di Thomas Ligotti – fatta di slittamenti sulla soglia tra realtà e veglia per indagare l’esistenza e portarla nel cuore dell’incubo – sale in scena attraverso la cifra drammaturgica e registica di Condemi, che traspone questa “narrativa del mistero” costruendo lo spettacolo come una sorta di galleria d’arte, alla ricerca della rappresentazione dell’orrore che permea il reale e le esistenze. E sembra davvero, immersi con lo sguardo nello spazio scenico, di essere dentro uno spazio intimo, privato, in cui ognuno può riconoscere una parete, un tratto, un angolo dell’incubo che abita il fondo della nostra psiche quando la lasciamo raccontare, al buio, le oscure figure che la abitano.

Questo trovo sia uno dei più grandi meriti di quest’opera funzionale tra teatro, installazione e performance: creare un’immediatezza di riconoscimento e di dialogo con ogni spettatore, col fardello di incubi propri che ognuno tiene nascosto sotto il letto, la capacità di svelare, quando cadono gli argini dell’approdo al mondo real-razionale, che l’incubo ha una sua grammatica ancestrale, che il disordine rosso e nero, urlante, ha un suo ordine che permea tutto l’orrore possibile all’umano. Più volte, durante lo spettacolo, mi sono sorpresa a pensare: ”questo è accaduto anche a me”. Il regista ci sta dicendo, attraverso la scena: signori il regno della notte ci governa tanto quanto quello della luce e noi siamo corpi di carne continuamente morsi e accarezzati da quest’opposizione di forze. Anche la nudità in scena assume una dimensione inedita, epurata da qualsiasi suggestione seduttiva o morale, non è che corpo offerto, che passa asservito e consegnato alla dimensione dell’incubo ed appare, la figura più capace di restituire il significato della morte, di là da qualsiasi simbolizzazione: carne che passa.

Una grande installazione labirintica di spazi mutevoli: teche, dedali, corridoi, ingressi, zone buie, porte segrete, macchine e nastri che scorrono a vuoto, in cui è il nostro rapporto con il mistero a essere messo in mostra. La complessa partitura di architetture e ingranaggi abita la scena – con le ipnotiche composizioni musicali di Paolo Spaccamonti e l’eclettica drammaturgia dell’immagine di Fabio Cherstich – evocando la sensazione di vivere in un incubo affollato di atmosfere inafferrabili e paesaggi distorti e anamorfici, che la rendono poi un luogo in cui le linee tra il sogno, lo spazio e l’inquietudine si confondono.

La scrittura scenica di Condemi dispiega, così, una raccolta di racconti notturni all’insegna dell’horror e dell’insolito, lasciando emergere, invece, la scrittura letteraria di Ligotti, senza darne spettacolo, ma restituendone le incrinature oscure con cui si insinua negli spiragli della fragilità umana per inquietare la realtà. Su questa traccia, lo sfondo diventa protagonista e i personaggi appaiono figure indistinte, sole e fragili, sulla soglia del sonno, in balia di allucinazioni che stravolgono la loro percezione della realtà e ne demoliscono le impalcature della coscienza, fino a essere condotti faccia a faccia con l’incubo: uno scrittore e studioso, ossessionato dalla figura di Medusa, vive esperienze allucinatorie che lo portano a scoprire il cuore dell’orrore; una bambina perseguitata dagli incubi cerca di annientare i sogni e le illusioni della vita; uno strano dottore conduce disturbanti esperimenti sulla nostra coscienza; in una galleria d’arte desolata si scoprono inquietanti installazioni, video, nastri registrati che ricordano quanto sia fragile la realtà e ancora, culti antinatalisti, incubi labirintici, visioni ipnagogiche e, sullo sfondo, la città desolata e desolante.
«Se il diario ha il compito di registrare le attività del giorno – commenta Condemi – il nottuario serve ad appuntare il resto, non tanto quello che succede di notte ma quello che si cela nelle pieghe del giorno.
La notte come spaziotempo della febbre, della confusione tra io e non più io, come spazio ipnagogico, come soglia. Credo che l’opera poetica, saggistica, narrativa e perfino musicale di Ligotti sia caratterizzata proprio da questo ostinato farsi spazio negli slittamenti, negli spiragli del reale. Il cuore dell’orrore è l’unico modo per sfuggire all’orrore e la scrittura stessa si fa ventriloquio, prende strade inesplorate in cui non importa chi sia l’io che parla. Se c’è una funzione della narrativa weird è proprio quella di ‘ripristinare un po’ della stupefazione che talvolta proviamo, e che probabilmente dovremmo provare più spesso, davanti all’esistenza nel suo aspetto». In questa ricerca sulla “esperienza” del mistero attraverso la scrittura di Ligotti, Condemi propone un’opera scenica e visionaria con cui esplorare il senso di meraviglia di fronte all’irrealtà, per un risvegliarsi al misterioso come unico antidoto al torpore dell’esistenza. E lo fa traducendo in teatro una delle penne più immaginifiche, ironiche e misteriose del nostro tempo, lasciando riverberare in scena gli echi narrativi di cui si nutrono i racconti dello scrittore: la grande letteratura weird e horror, da Shirley Jackson a H. P Lovecraft, ma anche richiami al cinema espressionista, all’arte contemporanea, ad autori come E. Cioran, Dino Buzzati, J.L.Borges, Danilo Kis, Giacomo Leopardi, e alle musiche di Davis Tibet e i Current 93.

«Ho pensato al teatro perché quando uno scrittore mi affascina così tanto provo a capire se è possibile metterlo in scena, metterne in scena la scrittura più che i plot. Mi è capitato con Robert Walser, Georges Perec, Il marchese de Sade, Pasolini e, ora, con Ligotti – continua il regista – Ho pensato al teatro anche per un altro motivo: la costante presenza di teatri, palcoscenici, vecchi cinema adibiti a sale teatrali e spettacoli presenti nei racconti dello scrittore. Credo che il tema della rappresentazione (del mondo come spettacolo, illusione, rappresentazione) sia centrale in Ligotti e trovi il suo correlativo oggettivo in tutti i palchi, i sipari, le sale cinematografiche, i vecchi teatri, i siparietti, i palchi vuoti, gli spettacolini senza senso presenti nelle sue pagine. Più che la rappresentazione quindi ci troviamo faccia a faccia col buio, con la fine di ogni rappresentazione, con lo sguardo di Medusa.

Per questo motivo lo spettacolo in Ligotti è sempre rimandato, squallido, inconcludente, il palco è vuoto e desolato e proprio per questo credo sia stimolante provare a restituire in teatro il senso di impermanenza che sprigionano le sue pagine e l’opacità delle sue immagini che (per usare una terminologia cara a Duchamp) si imprimono più nella mente che nella retina. I racconti weird di Ligotti mettono in crisi l’idea stessa di intrattenimento, di divertissment. La società dello spettacolo descritta da Guy Debord è una società addormentata».

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