venerdì, 26 Aprile, 2024
Società

Due sentenze su cui riflettere

La Corte Costituzionale annulla due leggi regionali della Lombardia e della Sicilia e richiama all’osservanza della gerarchia sulle fonti del diritto e al principio di leale collaborazione con lo Stato. Due sentenze che mettono in luce come sia complesso e delicato il rapporto tra Stato e Regioni con riferimento alla potestà legislativa anche in vista del progetto di riforma in atto sull’autonomia differenziata.

Nella Gazzetta Ufficiale n. 51 del 21 dicembre 2022 sono pubblicate le due sentenze della Consulta (n. 251 e n. 252).

Nei confronti della Regione Siciliana (sentenza n.252) la dichiarazione di illegittimità costituzionale riguarda l’articolo 1, comma 1, della legge regionale n. 19 del 29 luglio 2021 per le modifiche alla precedente legge regionale n. 16 del 10 agosto 2016, in materia di compatibilità delle costruzioni realizzate in aree sottoposte a vincolo (etichettato terzo condono edilizio dopo la legge nazionale n. 47 del 1985), che disponeva l’aggiunta dell’art. 25-bis dal titolo “Norme di interpretazione autentica” e a distanza, come evidenzia la Corte, di circa 17 anni.

A supporto della legittimità di tale provvedimento legislativo la Regione Sicilia richiama il parere n. 291 del 2010 del locale Consiglio della Giustizia Amministrativa secondo cui, nell’ambito della Regione Siciliana, dovrebbe continuare ad applicarsi la disciplina attuativa del primo condono edilizio, legge n. 47/1985, preclusiva della sanatoria solo a fronte di vincoli di inedificabilità assoluta e non anche a quelli cosiddetti relativi. Ma, in merito, la Corte costituzionale mette in luce che ne risulterebbero violati anche principi di carattere penale della normativa statale, come da sentenze della Cassazione penale e come afferma anche l’articolo 11 delle “Disposizioni sulla legge in generale” del codice civile, dal titolo “Efficacia della legge nel tempo” che così recita: “La legge non dispone che per l’avvenire: essa non ha effetto retroattivo (25 Cost.; 2 c.p.).

La Corte ribadisce che: “Le “grandi riforme” sono quindi individuate, nel caso di specie, dal legislatore nazionale nell’esercizio delle sue competenze esclusive in materia di ambiente (art. 117, secondo comma, lettera s. Cost.) e che ‘La disposizione impugnata eccede quindi i limiti di potestà legislativa primaria della Regione Siciliana sanciti dallo statuto di autonomia.’”

In merito alla Regione Lombardia, la sentenza n. 251 della Consulta dichiara l’incostituzionalità dell’articolo 6, comma 1, lettera a) della l.r. 16 dicembre 2021, n. 23 meglio denominata “Seconda legge di revisione normativa ordinamentale 2021”, dal titolo “Modifiche all’articolo 154 della l.r. 31/2008, (Testo unico delle leggi regionali in materia di agricoltura, foreste, pesca e sviluppo rurale) e più precisamente riguardante i “Fabbricasti da destinare ad attività agrituristiche”, per i quali la norma dichiarata incostituzionale ne autorizzava l’ampliamento non esattamente in armonia con altre regole benché competente nel disciplinare “gli interventi per il recupero del patrimonio edilizio esistente ad uso dell’imprenditore agricolo ai fini dell’esercizio di attività agrituristiche, nel rispetto delle specifiche caratteristiche tipologiche e architettoniche, nonché delle caratteristiche ambientali dei luoghi”.

La Corte ha ritenuto violato il principio di leale collaborazione per non aver, la regione Lombardia, tenuto conto del protocollo d’intesa sottoscritto nel 2017 dalla medesima e dal Ministero per i Beni e le attività culturali (oggi, Ministero della Cultura), avente ad oggetto la redazione congiunta del piano paesaggistico, di cui si evidenziano ritardi e responsabilità nella recente sentenza n. 187 del 2022.

Significative sono due osservazioni finali nella sentenza con gli espliciti addebiti alla Regione Lombardia ed esattamente quando la Consulta afferma che: “Per quanto, dunque, non si possa negare che la Regione Lombardia risulta dotata – e lo sia in effetti già da prima dell’entrata in vigore del codice dei beni culturali e del paesaggio – di uno strumento di pianificazione specificamente orientato alla tutela del paesaggio, tuttora operante come parte del PTR, è altrettanto evidente che tale pianificazione esprime scelte imputabili in via esclusiva alla Regione stessa, alle quali lo Stato è rimasto estraneo, e che resta ancora inattuato , nella Regione, il modello di pianificazione paesaggistica prescritto dal medesimo codice, il cui tratto caratterizzante è costituito appunto dall’elaborazione congiunta dello Stato e della Regione”.

Con l’altra osservazione la Consulta afferma che: “In definitiva, la mancanza di un piano paesaggistico frutto del pieno coinvolgimento dello Stato e della Regione e l’impossibilità di trarre dalla normativa regionale un’interpretazione tale da far ritenere comunque operanti i vincoli paesaggistici determinano l’illegittimità Costituzionale della norma impugnata per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. in relazione al principio della necessaria copianificazione paesaggistica e, in connessione con esso, al principio di leale collaborazione”.

Nel punto 6.4. della sentenza si afferma, altresì, che: “È violato, infine l’art. 9 Cost. in ragione dell’evidente abbassamento del livello di tutela paesaggistica derivante da una previsione che estende la possibilità di ampliamento dei fabbricati rurali, senza considerare gli effetti sul paesaggio”.

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