Amnesty International teme che almeno dieci persone, tra cui dei bambini, siano rimaste uccise in Iran dopo che le forze di sicurezza hanno aperto il fuoco sui manifestanti nella tormentata provincia sud-orientale del Sistan-Beluchistan. Le proteste mai sopite per Mahsa Amini, la ventiduenne morta lo scorso 16 settembre dopo essere stata arrestata per avere lasciato incustodita fuori dal velo una ciocca di capelli, sono scoppiate dopo la preghiera del venerdì nella capitale provinciale di Zahedan, e in altre aree della provincia, inclusa Khash. Secondo Amnesty la sicurezza ha sparato proiettili veri dai tetti degli edifici.
Un venerdì di sangue che non è passato inosservato neanche al gruppo Iran Human Rights (Ihr), che ha sede in Norvegia, che ha pubblicato un video dove si mostrano alcune persone insanguinate mentre vengono portate via dalle autorità. Secondo Ihr “molti sono stati uccisi e feriti a Khash”. Ancora più dura la ong Baloch Activists Campaign (Bac) con sede a Londra, convinta che le forze di sicurezza iraniane abbiano sparato “con l’intento di uccidere”. Di altro stile la versione diffusa dal regime teocratico. L’agenzia di stampa ufficiale Irna ha parlato di diversi poliziotti feriti dai manifestanti che hanno lanciato pietre, dopo avere appiccato il fuoco ad una pattuglia della polizia.
Il G7 riunto a Munster ha condannato la repressione, oltre a esprimere “sostegno all’aspirazione fondamentale del popolo iraniano per un futuro in cui la sicurezza umana e i suoi diritti umani universali siano rispettati e protetti”. Parole dure anche sulla “morte violenta della giovane iraniana “Jina” Mahsa Amini” e su “l’uso brutale e sproporzionato della forza contro manifestanti pacifici e bambini”.