sabato, 20 Aprile, 2024
Attualità

La lezione sui costi e benefici dei lavoratori stranieri

Italiani che vogliono vivere come “signori” senza troppo interrogarsi da dove arriva questo benessere, chi lo sostiene e come potrà mantenersi la “società opulenta di massa”. Sono gli interrogativi della lunga e molto bella intervista di Angela Nocioni al sociologo Luca Ricolfi sulle colonne del quotidiano Il Riformista. Ricolfi con buona dose di coraggio intellettuale sfida molti dei luoghi comuni e osserva: “Siamo una società signorile di massa. I cittadini che consumano senza produrre sono più dei lavoratori”. E ancora puntualizza Ricolfi: “Se gli immigrati regolari e irregolari se ne andassero aumenterebbero i costi di produzione in molti settori dell’edilizia e dell’agricoltura con la riduzione de la competitività delle nostre merci e nostri servizi. E sarebbe più costoso, meno di massa, vivere da signori per l’aumento del costo del lavoro per badanti e colf”.

Ecco quindi il punto che sfugge a molti commentatori e ai politici che inneggiano a nazionalismi e sovraninismi, ossia che l’Italia non cresce e invecchia, ma vive da benestante, “una società signorile di massa è una società opulenta”, annota Ricolfi che lancia un affondo provocatorio, “una parte consistente di questa opulenza deriva dalla struttura para schiavistica in maggioranza costituita da immigranti che contribuisce non poco al funzionamento dell’economia e al benessere dei signori”. Insomma una sferzata di realismo che andrebbe non solo condivisa ma analizzata per ritrovare in Italia quel minimo senso delle cose e della realtà. Possiamo provarci anche noi de La Discussione, ricordando ad esempio che gli stranieri residenti in Italia al 1° ad inizio di anno erano 5.255.503 e rappresentano l’8,7% della popolazione residente.

Una forza lavoro che produce l’8,8% della ricchezza del Paese. Secondo il “Dossier Statistico Immigrazione di Idos”, la ricchezza complessiva prodotta dagli stranieri in Italia ammonta a circa 127 miliardi di euro. I redditi dichiarati sono mediamente di 11.752 euro annui a testa, pari a 27,3 miliardi di euro e i versamenti Irpef ammontano a 3,2 miliardi di euro, in media 2.265 ciascuno. È tutto questo nonostante che le politiche di integrazione subiscano notevoli ritardi e repentini cambiamenti di indirizzo.

Le mansioni che svolgono i nostri immigrati sono basse infatti, solo il 6,7% ha accesso a professioni qualificate, addirittura, spesso il livello di istruzione è superiore alla mansione svolta e soprattutto alla loro retribuzione, la media è di 999 euro netti mensili, stipendio inferiore del 27,2% rispetto a quella degli italiani.

Una dato molto significativo è quello dell’impiego di immigrati nel lavoro domestico, che per tre quarti è svolto da lavoratori stranieri. Il maggior numero di stranieri si concentra a Roma e Milano. C’è anche una notevole vitalità imprenditoriale, in tutto il Paese sono oltre mezzo milione le imprese a “gestione immigrata” che producono servizi, danno lavoro e pagano tasse e versamenti previdenziali.

Ci sono poi notizie, rispetto alle baruffe e litigi mediatici sull’argomento immigrati, che passano del tutto inosservate come ad esempio il cronico ritardo dell’Italia a darsi una politica di integrazione con corsi professionali e percorsi di lavoro, oppure si sottacciano le buone pratiche come, ad esempio, il caso del piccolo Molise che ha accolto 3.542 richiedenti asilo. Oppure, ricorda il rapporto Idos, alcuni piccoli comuni si sono distinti, il caso di Pornassio in provincia di Imperia che ospita 173 rifugiati, mentre a Torino è stata celebrata la laurea degli studenti universitari di origine straniera, “segno di internazionalizzazione e apertura alle nuove generazioni”, racconta Idos.

“Questi esempi”, si legge nel rapporto, “confermano che la convivenza è possibile e fruttuosa, ma non scontata. I decisori pubblici sono chiamati ad assicurare un supporto strutturale: all’interno del paese, promuovendo uno sviluppo più inclusivo e socialmente orientato e a livello internazionale, coniugando meglio il controllo dei flussi con la solidarietà”. Sul fronte dei benefici è l’Inps a ricordare come ci sia un “doppio impatto positivo che il flusso dei migranti ha prodotto negli ultimi anni e che sarebbe difficile non considerare”. Il primo, calcola l’Istituto di previdenza, è demografico e lo ha rilevato recentemente l’Istat.

I 5 milioni di cittadini stranieri residenti (8,3%) del totale, hanno più che bilanciato il calo della popolazione e il suo progressivo invecchiamento. L’altro impatto è contributivo e i suoi effetti si sentono sugli equilibri del nostro sistema di welfare. Gli immigrati versano ogni anno circa 8 miliardi di contributi sociali e ne ricevono 3 in termini di pensioni e altre prestazioni sociali, con un saldo netto di circa 5 miliardi. Inoltre in molti casi i contributi versati non si traducono in pensioni perché molti di questi lavoratori lasciano il nostro Paese prima di aver maturato i requisiti. Secondo i conti fatti dall’Inps gli immigrati avrebbero fino ad oggi “regalato” agli italiani circa un punto di Pil di contributi sociali a fronte dei quali non sono state loro erogate delle pensioni. Ogni anno questi “contributi a fondo perduto” degli immigrati valgono circa 300 milioni di euro. Sono soldi che vanno a favore dei “signori” della società opulenta che dei lavoratori immigrati.

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