Nella nostra Carta costituzionale, al primo comma, l’articolo 75 afferma che: “È indetto referendum popolare per deliberare la abrogazione, totale o parziale, di una legge o di un atto avente valore di legge, quando lo richiedono cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali.
Trattasi del principale strumento di democrazia diretta il cui esercizio costituisce un vero e proprio diritto legislativo di veto nelle mani del popolo sovrano. Ma vi sono alcuni ostacoli giuridici da superare, veri e propri sbarramenti che possono, alla fine dell’iter, vanificare tutto il lavoro fatto per un cavillo giuridico da parte dell’alta Corte Costituzionale, cui spetta l’ultima parola sull’ammissibilità o meno del referendum abrogativo.
È bene ricordare che è stata la legge costituzionale n. 1 del 1953 “Norme integrative della Costituzione concernenti la Corte Costituzionale” che ha aggiunto in capo alla Corte Costituzionale medesima la competenza di giudicare anche sulla ammissibilità delle richieste di referendum abrogativo. In essa si afferma, come per i parlamentari, che i giudici della Corte costituzionale non sono sindacabili, ne’ possono essere perseguiti per le opinioni espresse ed i voti dati nell’esercizio delle loro funzioni.
Con la legge n. 352 del 1970, tra l’altro, ne sono state disciplinate le modalità di esercizio di questa competenza.
Il giudizio della Corte è , infatti, preceduto ed in parte condizionato da un controllo di regolarità-legittimità demandato all’Ufficio Centrale per il referendum, istituito presso la Corte di Cassazione che può rilevare eventuali irregolarità delle singole richieste, sanabili con un contraddittorio scritto da parte dei presentatori.
Escluso i casi contemplati dal secondo comma del citato articolo 75 per i quali non è ammesso referendum, quali le leggi tributarie e di bilancio, di amnistia e di indulto, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali, di leggi costituzionali e leggi atipiche (rinforzate), comprese quelle costituzionalmente obbligatorie, ne sono escluse dal referendum anche le richieste aventi ad oggetto una molteplicità di disposizioni tra loro eterogenee. E, per ragioni diverse, sono ritenute inammissibili richieste formulate in modo equivoco o, addirittura, contraddittorio.
È proprio il “si” o il “no” da parte degli elettori che impone ai soggetti promotori del referendum di porre attenzione, a monte, tenendo presente univocità e massima chiarezza dei termini dei quesiti.
Sono inammissibili, infatti, referendum che presentano oggetti non omogenei che possano violare la libertà di coscienza dei votanti.
Con la decisione della Corte Costituzionale di inammissibilità, si ferma definitivamente l’iter dei singoli referendum e viene preclusa per essi l’effettuazione della consultazione popolare, salvo a rinnovarne nuove specifiche richieste nei termini, tempi e modalità prescritte.