“Conoscevo solo ‘a legge mia, chella che fa ridere Dummì, non chella che fa chiagnere” così Filumena Marturano nell’omonima commedia di Eduardo De Filippo – poi divenuta quel meraviglioso film del 1964 diretto da De Sica – rivolgendosi a Don Dummì, ovvero Domenico Soriano. Nella netta scissione di due opposti – il riso ed il pianto – tanto differenti da riuscire così spesso a fondersi in un’unica espressione: la follia, quando ne prevale lo spirito doloroso; e la gioia, quando a vincere è quello che risiede nella felicità delle risa.
LE LACRIME DI GIOIA
Infatti la battuta finale della protagonista di Matrimonio all’italiana è la vivida e piena espressione di questo stato d’animo: “Sto piangendo Dummì, e quant’è bello chìagnere” conclude lei che non l’aveva fatto mai in un sorriso denso di pianto, perché “si piange per ciò che si è perduto e non si può riavere” e Filumena non aveva avuto mai niente – e niente per cui piangere. Le sue lacrime di gioia – le prime – sono la conferma di una vittoria e dell’ancor più forte commistione tra pianto e riso. Perché è la più alta forma di felicità quella che piange dall’emozione incontrollata.
L’ANTITESI TRA FANTASIA E POTERE
E somiglia ad un’altra antitetica commistione: ad un ossimoro che s’incontra nel motto anarchico ottocentesco, di cui s’attribuisce l’origine incerta a Bakunin – e noto in Italia come quello del movimento del ’77, erede seppure in chiave polemica del sessantottino – “La fantasia distruggerà il potere e una risata vi seppellirà”. Dove la fantasia si rende sinonimo di libertà di pensiero, archetipo di ragione ed autodeterminazione; mentre la sua nemesi, il potere, la cupa sovranità che frena immaginazione ed indipendenza per sottomettere chi non sa e non può pensare.
LA FORZA DI RIDERE
La risata seppellisce il limite, lo aborrisce e lo sovrasta: è più forte di qualsiasi termine. Ed è ancora una volta la prova di quanto conformemente sia più forte la gioia rispetto al dolore. La gioia, la risata che supera le lacrime che germogliano dalla sua stessa causa: mentre si piange di felicità – e al contrario non si può ridere dal dolore. L’espressione più pura di estasi si veste di pianto e risate al contempo; mentre quella risata, o meglio quel ghigno derivante dalla tristezza, non è che una menzogna: una maschera di rabbia.