venerdì, 26 Aprile, 2024
Società

L’algoritmo “artista” rende le opere invisibili… al Fisco

Intelligenza artificiale e autenticazione delle creazioni dell'arte

Il frenetico ricorso all’impiego delle nuove tecnologie da applicare al mondo dell’arte rischia di mutare la definizione stessa di Arte e, di conseguenza, quella di Artista. Il tentativo – auspicato – di riempire il vuoto legislativo che si è generato in tale contesto deve tenere presente che il cardine resta l’essere umano e la sua propensione alla creatività. L’Intelligenza Artificiale può rivestire un ruolo importante rispetto allo sviluppo di più efficienti sistemi di autenticazione delle opere d’arte. La tracciabilità delle opere d’arte deve essere funzionale a tutelare le opere e a isolare i falsi.

Desta sconcerto, invece, assistere alla sostituzione dell’artista con un asettico algoritmo. Sul piano giuridico, non può negarsi che le opere generate da A.I. pongano questioni che necessitano di una soluzione e mi riferisco, in primis, alla titolarità dei diritti sull’opera d’arte.

Titolarità dell’opera d’arte: computer versus artista

A tal proposito, le soluzioni sul tavolo sono almeno due: quei diritti spettano al computer che ha generato l’opera o, piuttosto, alla persona che vi ha inserito i dati utili a generare quell’opera. 

Si può davvero distinguere l’apporto umano da quello tecnologico e digitale che, in troppi casi, rappresenta la base e, spesso, la sostanza stessa dell’opera?

Ritengo dirimente il principio previsto dal quadro normativo vigente in Italia e in Europa, in virtù del quale si deve riconoscere la protezione autoriale soltanto a opere create dall’ingegno umano e non dall’intelligenza artificiale.

D’altra parte, sarebbe arduo ipotizzare la configurazione di una violazione del diritto d’autore in capo a una macchina la cui A.I. abbia generato opere uguali o simili a opere protette, così come sarebbe complesso disegnare un sistema di tutela autoriale applicabile alle opere generate da un computer in completa autonomia. 

Tutt’altra considerazione merita, invece, l’opportunità che si presenta all’artista che scelga di utilizzare la tecnologia come strumento creativo con il quale valorizzare le proprie opere d’arte. 

Aspetti fiscali e tributari connessi alla cessione di NFT

Il fenomeno Non Fungible Token (NFT) – oltretutto – si mescola con l’utilizzo di criptovalute, scambiate con quel token che – in qualche modo – rappresenta il certificato di autenticità all’opera dell’ingegno ma che, tuttavia, per poter essere definita tale deve poter vantare la presenza del requisito della creatività, oltre che la natura artistica.

Uno scenario che apre a una analisi degli aspetti fiscali e tributari che ne possono scaturire e che stimolano chi – come chi scrive – ha rivestito la qualifica di polizia tributaria, per oltre vent’anni, al servizio del Corpo della Guardia di Finanza.

Provando a spingersi fino a riconoscere la natura artistica al NFT – sforzo arduo – la cessione di quell’opera finirebbe per configurare una cessione dei diritti d’autore i cui corrispettivi non sarebbero soggetti a I.V.A., in quanto ricadente all’interno delle operazioni eseguite fuori campo IVA. Ai fini IRPEF, invece, quella cessione genererebbe reddito da lavoro autonomo con il beneficio di una deduzione forfettaria calcolata sulla base dell’età dell’artista.

Se, come invece si sostiene, la cessione di NFT non rileva in termini di diritto d’autore, allora, tutto cambia. Si tratta della cessione di un servizio, fattispecie che comprende la cessione di tutto ciò che non è considerato bene materiale e, perciò, l’operazione rileva anche ai fini IVA.

Opere invisibili… al Fisco

E non finisce qui. Quali effetti, di tipo fiscale e tributario, possono generarsi nel caso di cessione di un’opera d’arte invisibile?

Già perché, la deriva di questo fenomeno di annullamento del carattere della creatività per lasciare spazio a quello della tecnologia digitale, pare sia ormai totale. 

Abbiamo letto di opere d’arte (?) invisibili battute all’asta per alcune decine di migliaia di euro.

Se fossi un esperto del mondo dell’arte mi spingerei in una valutazione critica (che risulterebbe comunque banale) ma, siccome, sono invece un giurista esperto del diritto tributario e della legislazione Antiriciclaggio, mi limito a interrogarmi sull’ipotesi che tale condotta non possa – eventualmente – configurare la fattispecie di cui all’art. 8 del D.Lgs. 74/2000, ovvero il reato di emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti con conseguenti profili di riciclaggio. 

Una impostazione di interpretazione delle norme vigenti che ho recentemente avuto il piacere di condividere anche con il Prof. Massimo Ferracci – Responsabile Internal Audit, Compliance & AML presso la Filiale italiana di una primaria Banca Internazionale – nel corso di una Tavola Rotonda moderata da Felice Manti e che trova supporto nella considerazione del Prof. Francesco Casale, Professore Associato di Diritto Commerciale, Università di Camerino. Il Prof. Casale sostiene che “Invisibile o immateriale che sia, vendere all’asta un’opera di questo genere suscita diverse perplessità sia sul piano civilistico sia sul piano del diritto d’autore. Sotto il primo profilo, sussiste il rischio che un contratto di compravendita di un’opera invisibile possa essere dichiarato nullo, sia per mancanza o impossibilità dell’oggetto che della causa. Sotto il secondo profilo, quando il processo creativo si estrinseca in un’espressione estetica… immateriale, si può dubitare della stessa mancanza dell’opera oggetto di tutela e di scambio. Trovo apprezzabile ed intelligente la provocazione, ma avrei qualche difficoltà a considerarla, in se e per sé, un’opera d’arte suscettibile di circolare come tutte le altre o, magari, di essere tutelata in caso di plagio da parte di un’altra opera invisibile”.

* Responsabile Osservatorio Nazionale Antiriciclaggio per le opere d’Arte 

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