giovedì, 18 Aprile, 2024
Salute

Più farmaci contro il Covid. Antivirali in prima fila

Antivirali, anticorpi monoclonali e immunomodulanti. Queste tre categorie di farmaci potrebbero rappresentare la cura per l’infezione da Covid-19, alcune già in fase di sperimentazione nelle strutture ospedaliere sotto attento esame da parte di tutte le agenzie nazionali e internazionali del farmaco, dalla FDA, all’EMA e all’AIFA. Naturalmente, nessuna da intendersi alternativa al vaccino, che interviene nella prevenzione, ma solo cure possibili per chi ha già contratto il virus.

Gli antivirali

Di antivirali, i più promettenti, ce ne sono 250 allo studio e per metà novembre è attesa la prima versione in pillole, da usare a casa, sotto prescrizione medica. Particolarmente indicati per i malati oncologici, i trapiantati, gli anziani fragili, gli allergici, quelli per cui il vaccino fatica a creare una protezione. Vanno presi immediatamente dopo il contagio, altrimenti se ne vanifica l’effetto né si sa entro quanti giorni si può dire sia efficace. Secondo una analisi ad interim dei risultati di fase III dell’AIFA potrebbero ridurre i ricoveri e i morti dell’85%. Agiscono sulla replicazione del virus nelle mucose, sabotando il genoma del coronavirus, ma funzionano se presi ai primi sintomi. È indicato per chi ha le difese immunitarie compromesse.

I monoclonali

La seconda categoria è quella dei monoclonali, efficaci nella fase iniziale del contagio perché bloccano il virus e ne riducono la carica virale. In Italia ne sono state già somministrati 11.500 dosi, anche se in forma sperimentale, ricorrendo alla formula autorizzativa del “rolling review”, cioè la revisione progressiva durante l’uso. Allo stato attuale i monoclonali presentano il grande limite di poter essere somministrati solo in ambiente ospedaliero, perché in infusione per via endovenosa anche prolungata e necessitano di un periodo di osservazione. Novità in questa direzione, però, dovrebbero arrivare dall’Istituto Spallanzani con una sua cura monoclonale pronta per la fine dell’anno, somministrabile a casa con un’iniezione intramuscolo e destinata a persone immuno-compromesse che, se contagiate, potrebbero sviluppare patologie collaterali gravi. Resta il fatto che funzionano sui malati lievi e solo se la valutazione della diagnosi avviene tempestivamente.

Gli Immunomodulanti

All’inizio della pandemia gli antinfiammatori e immunomodulanti per via endovenosa hanno rappresentato la sola alternativa e utilizzati per fini terapeutici non previsti dal foglietto illustrativo perché nati per altre patologie come l’artrite reumatoide. La sperimentazione è stata autorizzata dall’AIFA ma solo per i pazienti ospedalizzati con polmonite e necessità di supporto respiratorio. Sono farmaci che tendono a ridimensionare la risposta abnorme che l’organismo mette in atto per difendersi dal Covid 19, agendo da inibitori di alcuni enzimi che si scatenano nelle infiammazioni, ma possono avere effetti tossici e si usano solo nei casi di risposta infiammatoria seria. Purtroppo il Coronavirus provoca fasi diverse in ogni organismo e ogni farmaco cura solo una parte della malattia quindi in teoria è solo il loro mix che potrebbe costituire una valida via.

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