Molto più spesso di quanto si riesca a percepire, le Nazioni sono guidate da piccoli uomini. Molto spesso l’inadeguatezza di tali governanti è inversamente proporzionale alla loro dispoticità: nel senso che più si è incapaci di percepire le reali pulsioni sociali ed i cambiamenti culturali che sottendono ad esse, più si tende ad usare la forza del potere, come unico argomento: con una politica più di dissuasione, che tesa a creare consenso.
Qualche volta accade che il potere di uno Stato venga preso da uomini che palesemente – e se me lo consentite ottusamente – ritengono di potere arginare con la repressione istanze sociali che, essendo figlie dei tempi e della Storia, possono solo essere ritardate, ma in alcun modo eliminate.
Mi venivano in mente queste riflessioni in relazione allo sgarbo del Presidente della Turchia, Recep Tayyip Erdogan, alla Presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, complice il piccolissimo (e per me fino ad allora sconosciuto e, comunque, destinato a tornare subito nel dimenticatoio) Charles Michel.
Per la verità, vedendo la scena diffusa dalla televisione, ho avuto la sensazione esattamente opposta a quella che la messinscena voleva evocare e che si coglieva in un lampo di soddisfazione nello sguardo di Erdogan: questi e l’insignificante Charles Michel sono scomparsi, annullati dalla figura, apparsami gigantesca e centrale, della Donna.
Immediatamente ho rivissuto il dialogo avuto nel giugno 2013 (mio ultimo viaggio in Turchia, Paese bellissimo) con una giovane archeologa di Smirne, che ci faceva da guida nella visita degli scavi di Efeso. Si era nel periodo in cui, in Turchia, stava emergendo in maniera forte la soppressione dello Stato laico creato da Ataturk, con la progressiva islamizzazione delle istituzioni. Questa ragazza – che vestiva con fogge occidentali, spigliata e consapevole della sua cultura -, da me sollecitata, mi spiegò di non credere che lo Stato turco potesse trasformarsi in un regime religioso; secondo lei ciò non sarebbe mai stato possibile nelle tre metropoli (Istanbul, Ankara e Smirne), dove le donne non lo avrebbero permesso e non sarebbero mai regredite, rinunciando alle conquiste fatte.
La Turchia da allora ha compiuto grandi passi indietro verso il Medio Evo: ad Istanbul la Basilica di Santa Sofia, un simbolo storico e culturale, prima ancora che religioso (che Mustafa Kemal Ataturk non a caso aveva convertito in Museo), è stata nuovamente trasformata in Moschea. Nel marzo 2021, preludio dello “sgarbo del sofà”, la Turchia è receduta unilateralmente dalla “Convenzione di Istanbul”, trattato internazionale contro gli abusi nei confronti delle donne, che impone agli Stati aderenti di introdurre leggi contro la violenza domestica e contro la mutilazione genitale. Trattato firmato proprio nella città turca esattamente dieci anni fa, quando la Turchia sembrava protesa ad entrare nella Unione Europea. Recesso passato quasi sotto silenzio in Europa. Omertà che si giustifica con ciò che ha detto, un poco senza prudenza, Mario Draghi: «Con questi dittatori, chiamiamoli per quello che sono… uno deve essere franco nell’esprimere la propria diversità di vedute e di visioni della società; ma deve essere anche pronto a cooperare per assicurare gli interessi del proprio Paese» (insomma Istanbul, come Parigi, val bene una Messa…).
Ma recesso contestato con coraggio in Turchia, proprio dalle vittime di quella violenza.
Proteste e cortei, bandiere viola e cartelli nelle strade e nei balconi.
Manifestazioni che non danno fastidio al potere, perché svolte con civiltà e perché non hanno effetti immediati.
Ma è proprio nella limitatezza di una visione limitata agli “effetti immediati”, che sta la piccolezza di questo genere di governanti.
Il potere di Erdogan non ne esce scalfito.
Un po’ come quel marito soddisfatto nel vedere l’occhio pesto che un suo vile pugno ha provocato all’indifesa moglie. Marito che non sa che la moglie, insieme a milioni di altre mogli ed a milioni e milioni di donne, è stata l’artefice della più grande rivoluzione avvenuta nel Novecento ed ancora in corso. Rivoluzione più grande della lotta alla schiavitù dell’Ottocento e della rivoluzione industriale (con le connesse lotte operaie).
Rivoluzione quella femminile più forte di tutte: perché in un secolo appena ha provocato una trasformazione addirittura inimmaginabile e perché incide nell’essere stesso della donna, la metà dell’umanità, che non consentirà alcun regresso e che potrà essere rinchiusa momentaneamente in casa da un marito despota e violento, sul quale inesorabilmente trionferà, seppellendo definitivamente – e non so quanti maschi saremo pronti ad accettare questa realtà – la falsa supremazia di uomini che manifestano la loro debolezza, in privato e nel pubblico, solamente con la violenta repressione.