domenica, 17 Novembre, 2024
Economia

La centrale di progettazione dell’ex-Ministro dell’Economia e delle Finanze Giovanni Tria. Così si rafforza lo Stato e si crea valore 

Il Presidente del Consiglio non può farsi unico garante del sistema affermando semplicemente che le riforme e gli interventi verranno fatti. Il piano per il Recovery Fund non è attualmente noto alle diverse componenti del Governo; poco conta che lo sia ad alcuni consulenti.

Giovanni Tria, già professore di Economia all’Università La Sapienza di Roma, già membro dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro è stato Ministro della Economia e delle Finanze dal 1 giugno 2018 al 5 settembre 2019 (Governo Conte I). Sceso ad una fermata intermedia, non è Ministro del Conte II.

Il resoconto di questa intervista inizia dalla fine, dall’ultima domanda Perché racconta l’uomo e la sua sostanza a differenza di altri.

Professore, ha un rimpianto, qualcosa che non è riuscito a fare quando era Ministro?
Si, uno. Poi ci pensa. Forse due. Ci ripensa e diventano tre. Forse troppi, commenta. 

Il più importante: quello di non aver portato a compimento la costituzione di una “centrale di progettazione cruciale per l’Italia” INTERNA al Ministero (i consulenti vanno e vengono) e un ufficio di tecnici, di ingegneri per redigere in concreto i progetti dei quali il Paese ha estremo bisogno. Oggi indispensabili per poter utilizzare i fondi ora disponibili e anche formulare la proposta tanto attesa dalla UE. 

Il secondo: la riforma fiscale.

Il terzo. Non essere riuscito a riportare all’interno del Ministero dell’Economia la funzione di programmazione economica. Il Ministero dell’Economia e delle Finanze non può fare gli interventi giusti di breve, medio e lungo periodo senza avere un quadro a 360 gradi degli impatti sulle aree strettamente correlate. E non dimentichiamoci il Lavoro, anch’esso gestito al di fuori del Ministero; come si fa a non considerarlo nelle scelte? L’esempio è quello della Francia che tutte queste funzioni (e anche altre) accorpa appunto in un unico Ministero e ha una visione allargata che gli consente di governare e sviluppare l’economia. 

Allora forse da Ministro ha avuto un’eccessiva tendenza alla condivisione, alla collegialità delle decisioni? Sbatterebbe di più i pugni sul tavolo se tornasse indietro?
Non ero il Presidente del Consiglio; da Ministro ho avuto con lui gli opportuni confronti portando avanti progressivamente quello che il contesto nel quale ho svolto il mio incarico mi ha consentito. Qualche volta ho anche dovuto accettare di essere smentito e “perdere la faccia”; ho quindi dovuto imparare, per il bene del Paese a non eccedere in esternazioni del mio pensiero non
preventivamente condivise. Considero i risultati finali comunque buoni, per quanto appunto il contesto lo consentisse.

Ha pagato come tutti l’inesperienza?
Certo ho dovuto imparare a fare il Ministro…

In una recente apparizione in televisione ha parlato della importanza di destinare i fondi ora disponibili alle aree del territorio meno produttive. Il suo pensiero è quello di aumentare la capacità produttiva del Paese o è rivolto al sociale?
Gli investimenti pubblici vanno destinati con urgenza a migliorare la qualità della vita in aree con territori particolarmente interessanti ma meno popolate professionalmente per aumentare la capacità produttiva del Paese. Oggi la tecnologia consente di poter svolgere alcuni servizi anche da remoto. Le comunità intellettuali, tecnico e scientifiche devono essere incentivate a trasferirsi, in parte, nelle zone del territorio dalle quali sono emigrate e/o dove sono meno presenti. A tale fine occorre sviluppare adeguate infrastrutture urbanistiche, scolastiche, sportive, sociali, quali autostrade e vie di comunicazioni veloci, scuole, centri per lo sport, ospedali, tribunali. Gli importi ora messi a disposizione dalla UE sono dunque un’ottima opportunità per procedere in tal senso. A Davos, i fondi internazionali presenti hanno suscitato grande interesse grande interesse in caso di trasformazione di alcuni territori del Mezzogiorno d’Italia, conosciuti per l’ottimo clima, la buona cucina, l’arte e la cultura. All’interno di questi territori potrebbero essere sviluppati headquarters e centri di ricerca e scientifici di standing internazionale consentendoci di attrarre in Italia talenti e le loro famiglie da tutto il mondo. Una nuova e più vitale Silicon Valley.

Soprattutto nell’economia green?
 Nel Recovery Fund si parla di investimenti in Economia green; non basta. Parlare di trasformare gli impianti attuali con maggiore attenzione all’ambiente vuol dire sostituire agli impianti produttivi obsoleti in impianti produttivi innovativi che rispettino maggiormente l’ambiente nel quale sono inseriti e operano. La digitalizzazione aiuta perché nel contesto attuale nazionale e internazionale è in aumento la commercializzazione dei servizi rispetto alla commercializzazione dei prodotti e questo rende maggiormente possibile la loro fornitura anche da remoto, ma non basta. Puntare solo sulla digitalizzazione rischia di aumentare la disoccupazione. Gli interventi devono essere più allargati ed integrati. 

Nella bozza circolata tra i Parlamentari si parla di destinare il 50% dei fondi disponibili ad interventi già approvati e i cui fondi sono stati stanziati; non è chiaro però quali, ma è evidente la difficoltà di attuarli che è già stata riscontrata negli anni trascorsi. Vero è che questa scelta migliora il bilancio dello Stato diminuendo il debito. È una scelta; ma bisogna anche portare i progetti a compimento anche perché ci saranno dei controlli severi sull’utilizzo dei fondi. 

Uno degli argomenti di attualità è quello che ormai il Mezzogiorno d’Italia è sprovvisto di una banca dedicata al territorio. Il cammino di rigenerazione della Banca Popolare di Bari appare ancora in salita e di non prossima conclusione. Per esempio non ritiene che uno spin-off di una parte delle filiali del MPS, quelle operanti al sud, potrebbe costituire una buona base per la creazione di una nuova banca di riferimento del territorio conservandone almeno in parte l’occupazione?
L’idea di aggregare intorno ad una banca più importante altre banche del Sud al fine di creare una banca per il Mezzogiorno d’Italia è senz’altro attuale. Oggi la Banca Popolare di Bari ha ultimato il suo processo di trasformazione in SPA e cioè rende il processo più semplice. Interessante certo l’accorpamento di una parte della rete di filiali del MPS, la banca più antica al mondo, e dunque del suo expertise. Il punto principale è tuttavia che le banche non vanno statalizzate ed è necessaria la presenza nel capitale di investitori privati, per esempio i fondi di investimento; ciò al fine di assicurarne una gestione manageriale, sana, prudente e produttiva del valore atteso. È indispensabile la selezione di un manager esperto al quale affidare la direzione e lo sviluppo della banca, capace ma anche gradito agli investitori.

Cosa ne pensa delle tante task force utilizzate dal Governo?
Come ho già detto, ritengo che bisogna rafforzare la capacità operativa della Pubblica Amministrazione, quindi lo Stato dal suo interno dove abbiamo molte eccellenze. Gli economisti e i consulenti fanno troppe assunzioni e dimenticano spesso la realtà delle cose. Un esempio ordinario: se non si ha un apriscatole non si può pensare di aprire la scatoletta di latta con l’apriscatole; è certo la scelta più semplice ma ignora la mancanza dello strumento principale. Allora se bisogna aprirla dobbiamo trovare un altro sistema. Se non c’è una struttura tecnica forte all’interno dello Stato non funziona nulla. 

Vuol dire che in Italia i Ministeri sono stati in parte svuotati di quelle che dovrebbero essere le loro effettive funzioni?
Certamente. Il CIPE si occupa di fare la cornice macro economica alla legge sul bilancio; altra cosa è fare la programmazione economica per le necessarie modifiche strutturali. Purtroppo il rischio di un degrado istituzionale è molto alto come anche dimostrano alcuni recenti interventi, anche televisivi di esponenti della Pubblica Amministrazione. 

Quale è il suo più grande timore nella situazione attuale? Riusciremo ad ottenere i fondi stanziati dalla Commissione europea?
I progetti che verranno presentati devono essere approvati e condivisi da tutte le forze politiche perché non potranno essere attuati da questo Governo e pienamente nemmeno dal successivo. L’unità nazionale è fondata su questo e il Presidente del Consiglio non può farsi unico garante del sistema affermando semplicemente che le riforme e gli interventi verranno fatti. Il piano per il Recovery Fund non è attualmente noto alle diverse componenti del Governo; poco conta che lo sia ad alcuni consulenti. 

Da economista quale è la Sua preoccupazione?
Come economista non posso non essere preoccupato dall’aumento del debito in generale. I fondi già disponibili sono stati utilizzati per interventi di emergenza, quali i ristori; e l’emergenza continuerà a lungo. Inoltre l’approccio metodologico utilizzato ha portato ad un ulteriore aumento dell’indebitamento delle imprese. Quando verrà meno il divieto di licenziamento, che prima o poi dovrà cadere, l’impatto sarà molto forte se non si previene con investimenti pubblici che offrano nuove possibilità di occupazione.

Si parla di costituire una bad bank europea quale possibile soluzione al previsto incremento delle partite deteriorate che alcuni operatori stimano si triplicheranno. Cosa ne pensa? Le diverse metodologie di valutazione e recupero dei crediti renderanno possibile la sua creazione? Chi gestirà il recupero dei crediti? Secondo quali norme? Ci saranno impatti anche sul sociale?
Penso che sia di difficile realizzazione (considerate le diversità già espresse nella domanda). D’altra parte l’Italia ha già la sua bad bank (ndr, AMCO). La sua presenza aiuterebbe anche ad aumentare il livello competitivo nelle gare per l’acquisto degli NPL. 

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