Ma re Silvio c’è o ci fa? Da una parte, esprime solidarietà a Salvini per l’ennesima lapidazione sinistra consumata dal Palazzo (il sì dell’Aula al processo sul caso Open Arms), dall’altra, flirta col governo giallorosso nel nome dell’Europa (il Recovery Found e non solo). Da una parte, ribadisce fedeltà all’alleanza di centro-destra, dall’altra condivide di fatto (lo vedremo nel dettaglio) il prolungamento dei poteri speciali e dello stato di emergenza, comodo alibi di Conte per blindarsi al potere, evitando l’arrivo proprio di Salvini.
E’ una strategia che non solo non paga, ma sconcerta gli elettori.
Forza Italia da tempo è ridotta al lumicino, pallido ricordo di quel partito liberale di massa, perno della coalizione, con un Berlusconi federatore attivo e pimpante delle tante anime interne (sociali, liberali, nazionalisti, europeisti, cattolici, laici, centristi, destristi etc). Indubbiamente si deve al Cavaliere la nascita del bipolarismo che conosciamo, il duello tra due schieramenti, la democrazia dell’alternanza, il bipolarismo compiuto. Dati i numeri, i rapporti di forza dal 94 fino a qualche anno fa, erano chiari: gli azzurri asse centrale, tra Lega e An. Poi, c’è stata l’avventura unitaria del Pdl, il partito degli italiani, avventura andata male (per le perturbazioni irrisolte tra Arcore e Fini e l’impossibilità di sintesi tra le due anime, ex Fi ed ex An). Comunque, si trattava di un polo a trazione liberista e moderato, vincente in alcune elezioni. E poi, come noto, si è tornati ai bordi di partenza, la logica della moviola: da Pdl, di nuovo a Fi e An-Fdi.
Adesso il centro-destra di governo sarebbe estremamente diverso: a guida sovranista, con i moderati azzurri costretti a fare da garanti con Bruxelles, moderatori con i poteri forti, anello di congiunzione, ago della bilancia, per prevalere sulla sinistra (anche un 7-8% può essere utile alle urne). Berlusconi lo sa benissimo e sta giocando al meglio questa partita. Sta con un piede in due staffe. Con Salvini, ma anche no, allargando il perimetro. Contendendo quel centro, ora senza rappresentanza, che potrebbe tornare di moda, e che vede già parecchi diretti interessati e competitor: Renzi, Calenda e lo stesso Conte, qualora non pensasse di traghettare i grillini verso un’area riformista col Pd.
Ciò spiega la politica ondivaga di Silvio. Anche lui ha subito decenni di massacro giudiziario, quasi 100 processi, la via giudiziaria al socialismo, arma classica della sinistra per combattere gli avversari, e quindi, ieri ha manifestato tutta la sua vicinanza per il voto del Senato.
Nelle sue dichiarazioni ha ribadito un concetto che se riletto in controluce appare ambiguo: “L’ho fatto per dovere di lealtà verso un alleato, e perché pure io ho vissuto tale demonizzazione”. Non c’è alcun riferimento a una posizione politica omogenea. Solo condivisione umana e obbligo, dover tecnico di alleanza.
E infatti, a differenza della Lega, gli azzurri hanno gradito i prestiti della Ue, il Recovery Fund e strizzano l’occhio al Mes; e a differenza della Lega, hanno brillato per assenze sospette durante il voto, sempre a Palazzo Madama, sul prolungamento dello stato di emergenza di Conte.
Guardate quanti assenti forzisti in occasione del voto: Barboni, Battistoni, Causin, Galliani, Ghedini, Lonardo (la moglie di Clemente Mastella), Mangialavori, Schifani, Sciascia, Vitali, Alderisi, Berardi. Azzurri tra assenti ingiustificati e giustificati perché in missione (scusa storica), che hanno votato dall’altra parte, per il “regime Covid”, che impedisce proprio al trio Salvini, Berlusconi e la Meloni, di tornare a Palazzo Chigi col favore popolare. Hanno votato con la maggioranza e con tutti i suoi ascari, da Monti a Casini.
Dettagli tecnici o strategia studiata a tavolino? Segnali in tal senso vengono pure dalle alleanze sul territorio (le elezioni comunali e regionali). Fi si distingue per politiche trasversali, un po’ col centro-destra, un po’ da sola, un po’ con gli altri.
Se son rose sfioriranno.
(Lo_Speciale)