Nelle ultime settimane, Israele ha affrontato una crescente pressione internazionale per porre fine al blocco degli aiuti umanitari nella Striscia di Gaza. Organizzazioni umanitarie e agenzie delle Nazioni Unite hanno lanciato l’allarme su una crisi alimentare imminente, con quasi mezzo milione di palestinesi a rischio di fame catastrofica. Anche gli alleati di Israele hanno manifestato preoccupazione. Washington ha esercitato pressioni su Tel Aviv affinché consentisse l’ingresso di aiuti umanitari, temendo che le immagini di carestia potessero erodere il sostegno internazionale all’operazione militare israeliana. Ieri, dopo quasi tre mesi di blocco totale, Israele ha deciso di riprendere la fornitura di aiuti umanitari alla popolazione di Gaza. Lo ha annunciato il primo ministro Benjamin Netanyahu in un video diffuso sui social, rispondendo alle crescenti pressioni internazionali, soprattutto da parte degli alleati occidentali. “Abbiamo deciso di consentire un’assistenza umanitaria minima durante la guerra”, ha dichiarato Netanyahu. “L’obiettivo è arrivare a una situazione in cui esista un’area completamente controllata dall’Idf, accessibile alla popolazione civile di Gaza e dove Hamas non riceva nulla.” Il premier ha spiegato che parte degli aiuti precedenti era stata saccheggiata da Hamas, e per questo Israele aveva imposto uno stop. Il nuovo piano, elaborato insieme agli Stati Uniti, prevede “punti di distribuzione protetti dall’Idf” dove potranno operare organizzazioni internazionali come il Programma Alimentare Mondiale e la World Central Kitchen. Netanyahu ha ammesso che Israele si sta avvicinando a una “linea rossa”, oltre la quale “potremmo perdere il controllo e tutto potrebbe crollare”. Alcuni tra i più fedeli alleati di Israele, ha detto il premier, avrebbero avvertito che “non possiamo più sostenervi se si diffondono immagini di carestia di massa”.
Rabbia dell’estrema destra
La decisione di riattivare i corridoi umanitari non è stata sottoposta a votazione del governo per evitare l’opposizione dei ministri dell’ultradestra. Il ministro della Sicurezza nazionale, Itamar Ben Gvir, ha definito la ripresa degli aiuti “un grave errore”, sostenendo che finiranno nelle mani di Hamas. “Lo si deve dire chiaramente all’opinione pubblica israeliana”, ha dichiarato, “questi rifornimenti finiranno anche ai terroristi”. Anche il ministro delle Finanze Bezalel Smotrich ha criticato la mossa, affermando che l’obiettivo ora è “spazzare via ciò che resta della Striscia”. Smotrich ha parlato di un cambio radicale nella strategia israeliana: “Non più incursioni lampo, ma conquista, bonifica e permanenza”, fino alla “distruzione completa di Hamas”.
Tajani: “Ridurre le operazioni militari, proteggere i civili”
L’Italia, che da settimane sollecita la riapertura degli accessi umanitari, ha accolto con favore l’annuncio. Il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha parlato telefonicamente due volte in 24 ore con il collega israeliano Gideon Sa’ar. “Sosteniamo la necessità di tutelare la popolazione palestinese”, ha dichiarato Tajani, ricordando che “la risposta israeliana al massacro del 7 ottobre è stata legittima, ma ora le operazioni militari vanno ridotte”. L’Italia ha ribadito il proprio impegno per il progetto “Food for Gaza”, attualmente bloccato da oltre due mesi, e ha chiesto di far entrare gli aiuti umanitari affidati al Programma Alimentare Mondiale.
Delegazione italiana: “Qui è l’inferno in terra”
Drammatico l’appello lanciato ieri dalla delegazione italiana arrivata al valico di Rafah, sul lato egiziano del confine con Gaza. “Non c’è più tempo”, ha dichiarato Yousef Hamdouna, operatore palestinese dell’ONG Educaid. “La gente dentro muore. I palestinesi si sentono abbandonati”. Il valico è sigillato dal 2 marzo, da quando è scaduta la prima delle tre fasi del cessate il fuoco mai rinnovato. Lotfy Gheith, capo delle operazioni della Mezzaluna Rossa egiziana, ha confermato che da quasi tre mesi non è passato più alcun camion né sono usciti feriti, nemmeno bambini. “Stiamo solo stoccando aiuti nei magazzini. Ma la nostra missione dovrebbe essere portarli alla popolazione che muore di fame”. Il blocco israeliano, secondo Gheith, sta mettendo a rischio anche la tenuta finanziaria della stessa Mezzaluna Rossa: “Un giorno di sosta di un camion costa 100 dollari. Con 3.000 tir fermi, immaginate il danno”.