Secondo i dati Abi , aggiornati a febbraio 2022, la liquidità parcheggiata sui conti correnti in Italia ammonta a 1831 miliardi di euro. Se a questo dato abbiniamo il balzo repentino dell’inflazione nell’area Euro che a metà marzo è balzata al 7,5% dal 5,9% e con un dato medio annuo che è stimato possa assestarsi in Italia su un 6,2% medio annuo, i conti sono presto e fatti e ci propongono numeri impressionanti. Quest’escalation è quasi totalmente legata all’energia, che a marzo ha registrato un rincaro globale vicino al 45% rispetto al 32% di febbraio.
L’amore degli italiani per i conti correnti lo conosciamo: mai come nelle scelte di comportamento in ambito finanziario viene ribaltato il proverbio “non rimandare a domani ciò che potresti fare oggi in “aspetterò tempi migliori. Il mercato potrebbe scendere.” Oppure “Salirà ancora di più, entrerò quando il trend sarà ben consolidato”. In sintesi , si rimane immobili in attesa di qualche sciagura possa abbattersi sui mercati o che i mezzi d’informazione ci diano il via con le loro rassicuranti notizie.
Occhi puntati sulle Banche Centrali
Per gli alimentari non lavorati, l’Eurostat ha specificato che a marzo i rincari hanno toccato il 7,8% su base annua, dal 6,2% di febbraio. L’inflazione core, quella meno volatile, ovvero depurata dalle voci più volatili come energia e alimentari lavorati, nonché tabacchi, è salita a marzo al 3%, in linea con il consenso di mercato.
Come riportato da Milano Finanza, alla conferenza Ambrosetti di Cernobbio tenutasi proprio nei giorni scorsi, Nouriel Roubini, Ceo di Roubini macro Associates, ha sottolineato il ruolo “centrale” delle banche centrali in questo momento. Da un lato infatti, focalizzandosi solo sull’inflazione, con l’inasprimento della politica monetaria e l’innalzamento dei tassi, rischiano non solo di impattare negativamente sulla crescita, ma anche di innescare una recessione. Dall’altro, focalizzandosi solo sul sostegno alla crescita, rischiano di rimanere indietro e in ritardo , con evidenti rischi al rialzo sull’inflazione.
Addio alle vecchie certezze
Chi sceglie di non agire e lasciare i propri soldi fermi, paga un caro prezzo in termini di inflazione. Come riportato dal Sole 24 ore, dei 1831 miliardi sul conto corrente, 1600 appartengono alle famiglie. Se a questo dato applichiamo l’attuale tasso d’inflazione, a fine anno il conto da pagare (la perdita di valore) dovrebbe attestarsi tra i 111 e i 122 miliardi. Ma quindi, cosa fare?
Il caro vecchio mattone, un tempo bene rifugio per eccellenza, ha mostrato nel tempo tutti i suoi limiti. Secondo l’Osservatorio Nomisma, le previsioni per il mercato immobiliare nel biennio 2022 – 2024 sono da rivedere al ribasso. L’innalzamento del costo delle materie prime, il rialzo dei tassi dei mutui e dei prezzi degli immobili, potrebbero portare ad una contrazione del mercato. Ma, come per tutti i mercati, vanno sempre analizzati rischi/opportunità. Parimenti, i titoli obbligazionari a reddito fisso, altro caposaldo psicologico sinonimo di sicurezza, hanno registrato perdite tra il 3 ed il 6%. All’origine di questi cali c’è anche la fine di un’epoca, quella delle emissioni a rendimento negativo (figlia delle politiche super espansive delle banche centrali e delle tensioni deflazionistiche. Ormai solo il 7% dei titoli di Stato in Europa offre un rendimento negativo.
Allora, solo un’attenta diversificazione, un’inclusione degli assests azionari nel proprio portafoglio (compatibilmente con il proprio profilo di rischio), e strumenti flessibili e rispettosi dei nostri orizzonti temporali possono darci le risposte che cerchiamo: la certezza di aver costruito un buon portafoglio, al di là di mode e/o paure.