“Tutti questi discorsi, tutto questo odio, tutto questo spararsi a vicenda, che è andato crescendo dall’inizio della guerra, si è spento e si è fermato a causa della magia del Natale. Mentre osservavo il campo ancora sognante i miei occhi hanno colto un bagliore nell’oscurità. A quell’ora della notte una luce nella trincea nemica è una cosa così rara che ho passato la voce. Subito dopo, vicino alle nostre buche, così vicino da farmi stringere forte il fucile, ho sentito una voce. Ho teso le orecchie, rimanendo in ascolto, ed ecco arrivare lungo tutta la nostra linea un saluto mai sentito in questa guerra: Soldato inglese, soldato inglese, buon Natale! Buon Natale!”.
Siamo in Belgio, è la vigilia di Natale del 1914, nelle trincee delle Fiandre a sud di Ypres e questo è un estratto della lettera di un soldato inglese ai suoi cari. Questa testimonianza è una delle tante lettere, insieme a foto, che soldati tedeschi e inglesi scrissero alle loro famiglie per raccontare “la tregua di natale”, l’incredibile evento della piccola pace dentro la grande guerra che i soldati dei due fronti nemici stabilirono spontaneamente, senza ordini superiori, anzi disobbedendo agli stessi ordini per obbedire alla legge più antica e più grande che contraddistingue gli esseri umani: la solidarietà, la compassione.
La prima guerra mondiale fu un conflitto immane, tutta la storia umana precedente, sommando ogni guerra, non raggiunge il numero di morti causati dalla grande guerra e le trincee, buche di fango e disperazione, dove i soldati riparavano dopo gli scontri ravvicinati tra uomini, avevano preso il posto delle case abbandonate per combattere. Morte, devastazione, grida, freddo e paura, questo era il pane quotidiano di quei soldati, di quelle persone, insieme a una propaganda incessante volta ad addomesticare all’odio. Perché se non lasci che l’odio si faccia il nido nel tuo cuore, è difficile premere il grilletto di un fucile contro un altro essere umano, non sempre è sufficiente la paura di essere a tua volta ucciso. Resiste, mentre miri, uno spazio irreggimentabile del pensiero; ti domandi se il tuo nemico sia sposato, ti domandi se è padre, ti chiedi dove puntare. Alla testa o al cuore?
No, decisamente per combattere bene occorre odiare. Così nessuna esitazione ha più spazio per esistere, l’unica cosa che conta è che quell’essere umano, disumanizzato dall’odio, smetta di essere un ostacolo davanti al tuo orizzonte, con qualunque mezzo. Cosa fu più forte dell’odio, cosa più efficace della propaganda il 24 dicembre 1914, dentro quelle trincee? Ce lo spiega, la lettera di un soldato “dopo averli incontrati anch’io mi chiedo fino a che punto i nostri giornali dicano la verità. Questi non sono i barbari selvaggi di cui abbiamo tanto letto. Sono uomini con case e famiglie, paure e speranze e, sì, amor di Patria. Insomma sono uomini come noi. Come hanno potuto indurci a credere altrimenti?” Fu il riconoscersi uguali, la compassione, a vincere sull’odio imposto e sulla reciproca distruzione. Loro disobbedirono all’odio per tendersi la mano, cantare e mangiare insieme, scoprendosi uguali per sentimenti sotto i diversi colori delle divise. Loro disobbedirono per obbedire all’amore. Sappiamo ancora noi, oggi, superare ogni conflitto e ogni diversità, vincendo in compassione? Lo spero per tutti noi. Ogni guerra è una sconfitta.