giovedì, 25 Aprile, 2024
Cronache marziane

Fisco: ecco che i nodi arrivano al pettine

Approfittando dell’assenza di Kurt il marziano – che, ricorderete, è in visita a Londra, mosso dalla curiosità di testare direttamente i primi effetti della Brexit sugli ingressi degli stranieri in quella città – e anche per non venir meno al nostro appuntamento quindicinale, vista l’assenza del suo principale protagonista, torno su un argomento più volte portato all’attenzione dei lettori di questo giornale: la rivoluzione fiscale più volte promessa dai vari Governi succedutisi in questi ultimi anni e che finalmente si appresta a divenire palpabile realtà, innanzitutto per richiesta della Commissione UE, che vuol condizionare (anche) a quella riforma l’erogazione del danaro promesso per ripresa e “resilienza” dell’Italia, Paese membro.

Il nostro sistema fiscale è d’altronde fermo agli anni ’70 dello scorso secolo e il peso del tempo ne ha aggravato in modo esponenziale le iniquità originarie, dall’eccessivo peso delle aliquote sul lavoro alla disparità di trattamento fra figure soggettive dotate di identica capacità contributiva, dalle ingiustificate differenze fra rendite finanziarie e immobiliari alla forzosità del prelievo in costante applicazione dell’incostituzionale principio tristemente conosciuto come “Solve et Repete”.

IL FISCO STRUMENTO DI LOTTA POLITICA

Ho voluto pescare a caso nella giungla del nostro regime tributario non solamente per dimostrare l’urgenza della riforma, ma anche per ricordare come quest’ultima sia assurta in questi giorni a corposo strumento di una lotta politica che oppone – nella curiosa formula del governo di semi-unità nazionale – i due leader delle ali estreme della coalizione oggi al potere.

La situazione è ulteriormente complicata dal repentino cambio al vertice del Partito Democratico, sicché – mentre le proposte e le richieste del centro-destra sono rimaste sostanzialmente immutate – stiamo assistendo ad un ulteriore spostamento a sinistra delle pretese del suo nuovo Segretario, che sembra voler  puntare sugli interessi dei più giovani per tentare di invertire la rotta del progressivo dissanguamento di consensi che affligge il suo Partito.

Assistiamo così – fra le altre amenità che circolano quando si parla di fisco – al tentativo di reintrodurre un’imposta di successione che era stata cancellata non dalla generosità di Berlusconi verso i propri elettori, ma piuttosto dal suo assorbimento nell’IMU e nelle altre imposte locali: un tentativo prontamente fermato dal Presidente del Consiglio (che ne ha compreso la pericolosità per la stabilità del proprio governo), ma altrettanto prontamente reiterato dal suo assertore, nel tentativo di spostare ancora una volta la cifra politica del governo in carica verso il PD, come già accadde – riuscendoci, almeno in parte a carico del Movimento Cinque Stelle –  agli ormai rimpianti tempi del governo giallorosso.

Nel frattempo, il consenso del Paese verso il centrodestra sembra crescere a ritmi esponenziali e non è certo esasperando gli attacchi alle posizioni dei cittadini più abbienti che si potrà invertire la rotta. Al massimo potrà rompersi il Governo, con immaginabili conseguenze per i meno abbienti.

Cosa potrà fare dunque il Presidente del Consiglio per evitare di salire al colle con le dimissioni in tasca?

PER DRAGHI UN’IMPRESA POSSIBILE

Nulla di più e nulla di diverso da quanto ha fatto finora e cioè presentare un proprio disegno di riforma, calibrato sulle regole di equità fiscale che la maggior parte degli altri Paesi Europei ha già introdotto da tempo; senza dimenticare che, in materia tributaria, il vero problema dell’Italia è quello di conciliare tre elementi: l’eccessiva progressività del prelievo, l’insufficienza dei servizi resi a fronte di quest’ultimo e l’enormità del debito pubblico che da anni La affligge.

Sembra un’impresa impossibile, ma non possiamo dimenticare che non è la prima volta che Mario Draghi si trova di fronte ad imprese di tal genere: il salvataggio dell’Euro ne è solo l’esempio più noto, perché prima ancora riuscì – da alto burocrate ministeriale – ad ottenere in Parlamento una riforma del diritto societario italiano che porta ancora il suo nome e che salvò il nostro sistema imprenditoriale dagli assalti dei capitalisti  stranieri, che già a quei tempi stavano erodendo il  sistema produttivo italiano, avendo imparato a maneggiare in proprio favore i pochi strumenti presenti nel titolo quinto del Codice Civile, datato al 1942.

Non v’è dubbio però che – per avviare la riforma fiscale – la condizione imprescindibile sia quella di dare soluzione al problema della cancellazione del contenzioso ancora in essere con l’Agenzia delle Entrate e, contemporaneamente, della riscossione a stralcio dell’impressionante numero di cartelle esattoriali giacenti presso i suoi uffici.

È infatti velleitario immaginare di poter avviare una riforma fiscale – qualunque essa sia – continuando a tenere in piedi le innumerevoli controversie aperte con i contribuenti per il passato: sarebbe come tentare di aggiustare un aeroplano in volo, senza prima farlo scendere a terra.

Il Presidente Draghi sa bene che un’ultima rottamazione delle cartelle esattoriali non piacerebbe affatto alla sinistra di governo, ma da uomo pragmatico quale è, sa altrettanto bene che – senza quest’ultima operazione, globale e definitiva – nessuna vera ripartenza della macchina fiscale è possibile.

Abbia Egli perciò il coraggio di affrontare la questione nei termini appena indicati, assumendosene la piena e personale responsabilità: meglio esser disturbati dalla voce dei dissenzienti, che dover annunciare agli italiani che i finanziamenti già stanziati dall’Europa andranno a subire – per colpa di qualche neosegretario di partito in cerca di consensi a buon mercato – ulteriori ritardi.

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