giovedì, 25 Aprile, 2024
Considerazioni inattuali

La vittoria nel naufragio

Nel Naufragium feci, bene navigavi («Tunc bene navigavi cum naufragium feci – Ho navigato bene, perché sono naufragato») di Erasmo da Rotterdam come in tutti i paradossi, solo apparentemente tali ed in realtà legati da quel rapporto profondo che lega le due parti di ciascun ossimoro, è intrinseca tutta la vittoria che c’è in una sconfitta. Ecco forse perché saper perdere significa in effetti vincere: come in una nuova paradossale contraddizione in termini infatti, la vittoria e la sconfitta s’accostano l’una all’altra nello stesso momento in cui entra in gioco il discernimento tra i due poli. E ci chiediamo: quanto abbiamo perso in questa vittoria? E quanto abbiamo guadagnato dalla sconfitta?

L’Odissea quotidiana

Non è possibile calcolarne le quantità come il peso su di una bilancia. In questi casi interviene il rischio, proprio come in un’infinita quotidiana Odissea. Ulisse non sapeva cosa sarebbe avvenuto nel suo viaggio, né poteva immaginarlo, prevederne i rischi, le perdite. “Ulisse vuole ascoltare il canto delle Sirene, a costo di mettere in pericolo la sua vita” scriveva Jünger ne La forbice “Egli percorre l’Occidente fino ai suoi confini; senza di lui, esso non potrebbe nemmeno sussistere. Non ci sarebbe stato nessuno sbarco sulla luna.” Il giudizio critico cui accennavo, ha a che fare con quella capacità di discernere e non di giudicare il prossimo – come probabilmente faremmo persino con Ulisse oggi, commentando le sue imprese e magari biasimandole sui social – ma di apprendere ed imparare anche dagli errori altrui, oltreché dai nostri. Se ci rendessimo ladri delle sconfitte degli altri, forse ne guadagneremmo in vittorie – o perlomeno in punti di forza, e non di fragilità, necessari a parare i colpi. Una capacità, quella di soffrire con l’altro, che dà vita ad un nuovo apparente paradosso: la forza che ne scaturisce diventa fonte di energia, voglia di conoscenza, di sfidare i propri limiti e vincerli dopo averli esperiti – e dunque soltanto dopo aver perso. Questa la dimostrazione che spesso vincere senza sconfitta sia frutto del caso, mentre la vittoria successiva o meglio conseguente ai naufragi si traduca in merito, capacità, valore, forza. Se impediamo a noi stessi perciò la crescita per mezzo della sconfitta, imponendoci la rincorsa quasi utopica al non cadere mai, ci stiamo precludendo proprio l’accesso ad una futura vittoria. “Chi evita l’errore elude la vita” per dirla con Jung – la vita che è vittoria in sé.

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