venerdì, 29 Marzo, 2024
Economia

Confindustria: nostre produzioni terze in Ue per sostenibilità ambientale. L’Italia più competitiva di Francia e GB

Una buona notizia tra le molte di segno negativo per l’economia. A presentarla è il Centro studi di Confindustria con un report: “Scenari industriali”, sulla produzione manifatturiera.

Il Paese regge sul piano della competitività e, soprattutto, ha industrie che inquinano meno, più flessibili e capacità di entrare nell’ambito dell’innovazione Green.

“Nel settore manifatturiero mondiale colpita dallo shock pandemico”, fa presente il Centro studi, “l’Italia è al settimo posto nel mondo e terza in UE per sostenibilità ambientale”. Per Confindustria le difficoltà per il 2021 saranno ancora notevoli, e riassume la situazione internazionale con dati e proiezioni che evidenziano che solo l’economia cinese crescerà.

“La manifattura mondiale è tuttora sotto lo scacco della pandemia, dopo aver subito un forte shock che seguiterà a condizionare i comportamenti per un tempo ancora indeterminato. Secondo le attese”, ricorda il Centro studi, “nessuna tra le principali aree industrializzate del pianeta sarà in grado di evitare nel 2020 una forte contrazione del valore aggiunto, ad eccezione della Cina, che registrerà una moderata espansione (+2,1%, il tasso comunque più basso da oltre tre decenni”. Il 2020, secondo le previsioni, dovrebbe chiudersi con una crescita negativa del 5,1%, non lontana da quella osservata nel 2009 (-6,0%). Le considerazioni degli analisti di Confindustria si spingono in avanti indicando nuovi scenari.

“Negli anni a venire l’architettura internazionale della produzione”, ipotizza il CSC, “subirà cambiamenti importanti, che comporteranno una ridislocazione dei flussi commerciali e di investimento. In prospettiva la ‘soluzione del problema produttivo’ è destinata ad assumere contemporaneamente forme differenziate, tra cui la possibile re-importazione (re-shoring) di fasi produttive già affidate a fornitori esteri o una loro ridislocazione a scala continentale (near-shoring)”.

Entrando nel merito delle questioni emerge che l’Italia compare ormai stabilmente al settimo posto della graduatoria mondiale dei principali produttori manifatturieri, “con una quota del 2,2%, davanti alla Francia (1,9%) e al Regno Unito (1,8). E compare tra gli esportatori mondiali con la performance migliore”, sottolinea il Centro studi della Confindustria, “secondo il trade performance index elaborato da wto e unctad occupa le prime tre posizioni al mondo in otto raggruppamenti settoriali su dodici, subito dietro la Germania”.

L’Italia, inoltre, ha subito in pieno la crisi economica innescata dalla pandemia, che sui livelli di attività della manifattura italiana è stato immediato e violento. “Nei due mesi di lockdown (marzo e aprile) la produzione è diminuita mediamente di oltre il 40%, prosegue l’analisi di CSC, “anche se con un profilo fortemente disomogeneo a livello settoriale (dal -92,8% della produzione di prodotti in pelle al -5,5% del farmaceutico). Il recupero dei livelli produttivi da maggio è stato pressoché istantaneo, così che nel giro di quattro mesi il livello di produzione è tornato intorno ai valori di gennaio con un incremento del 76% rispetto al minimo toccato in aprile. Ma le prospettive per i mesi autunnali sono tornate negative”. Tuttavia l’Italia non è isolata in questo contesto, “Il rallentamento produttivo dell’Italia non costituisce una anomalia”, osserva il Centro studi, “nel confronto internazionale. Nel confronto con altre grandi economie europee l’Italia mostra anzi una contrazione dei tassi di crescita relativamente contenuta, oltre che una maggiore reattività allo shock pandemico”.

Il deficit di crescita che non è attribuibile solo alla pandemia, è però ormai strutturale.

“Una stima prudenziale della variazione cumulata del saldo per i soli anni 2017-2020 indica una contrazione del numero delle imprese superiore alle 32mila unità”, calcola Confindustria, “Il numero degli entrate di nuove imprese sul mercato è divenuto di gran lunga inferiore a quello delle uscite, ovvero i processi di formazione di nuove imprese non sono più in grado – diversamente dal passato – di garantire l’espansione della base produttiva”. Infine la ricerca si focalizza sulle prospettive future del settore manifatturiero introducendo il tema delle innovazioni e di un cambio che Confindustria giudica epocale.

“L’uscita dalla pandemia coinciderà con cambiamenti importanti negli stessi driver dello sviluppo, nell’ambito dei quali la transizione green svolgerà un ruolo importante”, prevede il Centro studi della Confederazione, “L’industria italiana affronta la sfida della sostenibilità ambientale competitiva potendo contare su un vantaggio strategico da first mover rispetto a molti dei suoi partner internazionali, avendo già da tempo introdotto un approccio “responsabile” alla produzione e al consumo di risorse. Presenta infatti un ridotto impatto in termini di rifiuti solidi prodotti, grazie ad un approccio circolare all’uso delle risorse (grazie alle attività di riciclo e recupero è stato infatti possibile re-immettere nel sistema economico l’83% circa dei rifiuti speciali prodotti in Italia, contro l’81% registrato in Germania, il 71% in Francia, il 60% del Regno Unito e una media UE del 53%) e un ridotto impatto in termini di emissioni di gas serra prodotti dalle attività di trasformazione”. Infatti, secondo le stime del Centro Studi Confindustria, la manifattura italiana si colloca al quarto posto tra le principali economie globali, al terzo nella UE, per minor intensità di CO2 (CO2 in rapporto al valore aggiunto), su livelli equivalenti a quelli registrati dalla manifattura tedesca. “Rispetto alla media UE, l’intensità delle emissioni di CO2 della manifattura italiana è inferiore del 31%”, un dato importante che Confindustria rimarca. “La bassa impronta di carbonio della manifattura italiana nel confronto internazionale è spiegata soprattutto da livelli di efficienza ambientale dei processi industriali tra i più elevati al mondo”.

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