giovedì, 25 Aprile, 2024
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Suicidio assistito, Pro Vita e Famiglia: “L’ultima beffa. Spingeranno i malati a uccidersi”

“La dipendenza da trattamenti di sostegno vitale non significa necessariamente ed esclusivamente dipendenza da una macchina”. Sulla base di questo principio i giudici di Massa Carrara hanno assolto Marco Cappato e Mina Welby nel processo per la morte di Davide Trentini, 53 anni, malato di sclerosi multipla da quanto ne aveva 27, deceduto in una clinica Svizzera il 13 luglio 2017 col suicidio assistito.

I due erano accusati di istigazione e di aiuto al suicidio. Cappato per aver sostenuto economicamente, attraverso l’associazione Sostegno Civile, il suicidio assistito di Trentini, la Welby per averlo accompagnato nella clinica di Basilea in Svizzera dove l’uomo ha “ottenuto” la morte.

“La corte di assise di Massa – commenta l’avvocato Filomena Gallo legale dei due – ha chiarito che il riferimento è da intendersi a qualsiasi tipo di trattamento sanitario, sia esso realizzato con terapie farmaceutiche o con l’assistenza di personale medico o paramedico o con l’ausilio di macchinari medici. Sono compresi anche la nutrizione e idratazione artificiali”.

Una decisione quella dei giudici che non ha mancato di suscitare reazioni forti e di dura condanna

Contro la sentenza si sono scagliati Toni Brandi e Jacopo Coghe, presidente e vice presidente di Pro Vita e Famiglia onlus che attaccano:  “I trattamenti farmacologici uniti all’assistenza personale possono rientrare nel ‘sostegno vitale’ Con queste motivazioni Marco Cappato e Mina Welby non sono stati ritenuti colpevoli per la morte di Davide Trentini. Siamo all’ultima beffa, il malato non si sentirà, forse, un po’ obbligato a togliersi di mezzo? Ecco, allora, il vero volto di questi diritti: l’incentivazione alla morte del soggetto fragile, come rivela un’indagine del National Council on Disability che dimostra che la morte di Stato non introduce la libertà di scelta ma spinge i malati a uccidersi, facendoli sentire un peso e non offrendo loro opzioni di vita”. 

“Tre milioni di persone soffrono di depressione in Italia. Se pensiamo che il 55% dei casi di eutanasia sono causati da una depressione (curabile), ci si può rendere conto di quale strage di persone fragili e depresse implicherebbe un allargamento del suicidio assistito e, soprattutto, una legge sull’eutanasia. Tutto questo fa parte delle mille contraddizioni della nostra epoca: infatti domani celebreremo la Giornata mondiale della prevenzione del suicidio. In Italia ogni giorno ci sono dieci suicidi. Un dramma purtroppo destinato ad aumentare: oltre alle conseguenze della crisi finanziaria, pesano l’isolamento sociale, il peggioramento di un problema psichico già presente e la paura. La legalizzazione del suicidio assistito e dell’eutanasia è come un invito a tutte le persone che vivono con estremo disagio questo momento a levarsi di torno” hanno proseguito Brandi e Coghe.

“Il Governo fa poco o nulla per prevenire il suicidio e per diffondere e potenziare le cure palliative. Come ha denunciato la Federazione Cure Palliative: in Italia accedono alle cure palliative soltanto il 30% dei malati di tumore e restano quasi esclusi dall’accesso alle cure i pazienti pediatrici. Il Governo sembra intenzionato soltanto, con la discussione sulla legge per l’eutanasia, a favorire un’ecatombe, in una situazione di fame e sofferenza” hanno concluso Brandi e Coghe. (Lo_Speciale)

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