venerdì, 19 Aprile, 2024
Politica

Nel Pd si pensa già al dopo Zingaretti? Le manovre di Bonaccini e Gori

Il licenzianto in tronco di Zingaretti e il ritorno di Matteo Renzi nel Pd.

È lo scenario delineato dal quotidiano Libero che vede sempre più a rischio la poltrona che il Governatore del Lazio occupa al Nazareno. Il giorno del giudizio dovrebbe essere il 21 settembre quando tutti si attendono una disfatta del Pd, soprattutto nelle regioni più a rischio, ossia la Puglia e le Marche, dove i dem non sono riusciti a concludere un’intesa con il Movimento 5 Stelle e dove i sondaggi sembrano confermare una vittoria del centrodestra.

Sarebbe già pronto il piano per far fuori Zingaretti accusandolo di aver gestito male l’intera partita delle regional e aver determinato la sconfitta, avendo voluto imporre a tutti i costi Michele Emiliano in Puglia e avendo rotto l’alleanza di governo in più regioni, con Italia Viva di Matteo Renzi che corre da sola in Puglia, nel Veneto, in Liguria.

In più sotto attacco ci sarebbe anche l’atteggiamento molto ambiguo tenuto dal segretario dem nei confronti del M5S, fatto di troppe concessioni senza nulla in cambio, né in termini di alleanze politiche, né in termini di legge elettorale prima del voto referendario.

A guidare la fronta anti-Zingaretti sarebbe il sindaco di Bergamo Giorgio Gori, ex renziano rimasto nel Pd ma con il cuore sempre rivolto verso l’ex premier e sindaco di Firenze.

Scrive Libero: “Uno dei grandi registi dell’operazione che dovrebbe portare a dare il benservito al fratello di Montalbano è il sindaco di Bergamo, Gori, ex renziano di ferro, che spinge per mandare in prima linea il presidente dell’Emilia-Romagna, Bonaccini, il quale fa sempre più fatica a nascondere di non vedere l’ora che il golpetto avvenga. Sono tutti pronti con la bottiglia di champagne per festeggiare e c’è già chi mette in giro la voce che il siluramento di Zingaretti potrebbe perfino portare, per una volta, a una riunione anziché a una scissione nel Pd, con Renzi e i suoi di Italia Viva pronti al rientro. Al complotto Franceschini è iscritto di diritto, stante l’esperienza nell’ordire trame, come lo è Orlando. Ma ci sono anche parecchi insospettabili, ex pezzi da novanta che l’attuale segreteria ha relegato in seconda fila”.

Un quadro tutto da verificare (le smentite ovviamente si sprecano) ma che la dice lunga sul clima da lunghi coltelli che si respira al Nazareno, come dimostra anche la difficoltà oggettiva del segretario di prendere una posizione netta sul referendum relativo al taglio dei parlamentari. Con metà partito schierato per il No. 

Che Giorgio Gori sia critico con Zingaretti non è certo un’indiscrezione di stampa, visto che il sindaco di Bergamo la sua insoddisfazione l’ha più volte espressa chiaramente e alla luce del sole. Negli ultimi tempi ha spesso contestato anche l’azione di governo, accusando il Pd di andare a rimorchio del populismo dei 5 Stelle. Posizioni che in molti casi sono sembrate perfettamente in linea con quelle del suo amico Renzi, avvalorando così l’ipotesi di chi sostiene che in realtà Gori, come altri, sia rimasto nel Pd su suggerimento dell’ex segretario per poter mantenere una sponda dentro il suo ex partito.

E un ritorno a casa di Matteo in seguito al siluramento di Zingaretti (cui Italia Viva sembra in qualche modo concorrere proprio complicando ai dem le cose in Puglia, in Veneto, in Liguria ecc.) non sembra poi un’ipotesi tanto assurda.

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