
Oltre 80.000 ricorsi all’anno. Una cifra che fotografa una pressione insostenibile sul sistema giudiziario di legittimità e che non ha paragoni nel panorama europeo. È l’immagine che è emersa dalla relazione della Prima Presidente della Corte Suprema di Cassazione, Margherita Cassano, all’assemblea generale della Corte svoltasi ieri a Roma, alla presenza tra gli altri del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Un’occasione di certo importante, che ha segnato il ritorno dell’assemblea dopo un decennio e che ha visto il massimo vertice della Cassazione tracciare un bilancio tanto lucido quanto ambizioso dell’attuale momento della giustizia italiana. Cassano ha parlato con la forza dei numeri, ma anche con il respiro di un progetto culturale. L’enormità del contenzioso (80mila fascicoli ogni anno appunto) è solo un sintomo, ha spiegato, di un problema più profondo, che riguarda la struttura stessa del rapporto tra giurisdizione, legge e società. “La Corte gestisce quotidianamente questo carico con encomiabile slancio ideale”, ha spiegato. E ha ricordato che nel settore penale i procedimenti vengono definiti in appena 78 giorni dalla loro iscrizione. Sul fronte civile, la riduzione delle pendenze è stata di oltre 30.000 unità in poco più di due anni. Il ‘dispositiontime’ medio è ora di 901 giorni, ben inferiore ai 977 previsti dal Piano nazionale di ripresa e resilienza come obiettivo al 2026.
Numeri record
L’impressionante mole di ricorsi rende evidente come la Cassazione sia ormai investita non solo di un ruolo tecnico, ma anche simbolico. È la sentinella ultima della legalità, il presidio di coerenza del sistema, ma anche, implicitamente, il termometro di quanto la società italiana chieda giustizia, in un momento storico di fragilità normativa e crescente litigiosità. A fronte di tale complessità, Cassano ha espresso la necessità di un nuovo modello culturale, capace di ridare coerenza e fiducia all’intero edificio della giustizia: “Dobbiamo delineare un nuovo umanesimo giuridico che metta al centro la persona e i suoi diritti, in un’ottica di armonia e dialogo tra le istituzioni”.
Un passaggio centrale del discorso ha riguardato il tema della nomofilachia, ossia la funzione di garanzia dell’unità del diritto. Cassano ha sottolineato come l’interpretazione giurisprudenziale debba essere chiara, coerente e prevedibile, così da garantire l’uguaglianza dei cittadini davanti alla legge e rafforzare l’effettività della difesa: “La prevedibilità delle decisioni è un fattore di legittimazione democratica”.
Il linguaggio della giustizia deve essere chiaro
Ma la Presidente ha respinto l’idea di una giurisprudenza irrigidita, cristallizzata. La Cassazione, ha spiegato, non è un tribunale gerarchicamente sovraordinato, bensì un organo chiamato al dialogo con i giudici di merito e con le Corti europee, in una relazione circolare e costruttiva: “La nostra funzione non è quella del dogma, ma del confronto”, ha detto. E ha evocato il valore della collegialità come antidoto all’isolamento interpretativo: “Il lavoro del magistrato deve uscire dalla solitudine”. Un altro fronte aperto riguarda il linguaggio giuridico. Cassano ha ricordato come la motivazione delle sentenze (cuore dell’art. 111 della Costituzione) debba essere accessibile, trasparente, comprensibile. “Solo così la collettività può controllare, capire e fidarsi”, le sue parole.
E in questo contesto, la formazione gioca un ruolo chiave. La Scuola Superiore della Magistratura è stata indicata come presidio di aggiornamento e rigenerazione culturale, chiamata a formare giudici aperti ai nuovi saperi, attenti all’evoluzione dei diritti e in grado di confrontarsi con le sfide emergenti, dall’intelligenza artificiale ai fenomeni transnazionali.
Riforme di sistema
Cassano non ha nascosto l’urgenza di interventi legislativi strutturali. Alla giustizia non servono solo buone prassi, ma anche leggi stabili, chiare, rispettose delle priorità: “La proliferazione di nuovi reati e la giustiziabilità indiscriminata di ogni pretesa rischiano di vanificare le tutele e di caricare impropriamente il giudice di un compito che spetterebbe al legislatore”. In particolare, ha chiesto che si definiscano parametri di priorità per evitare che il magistrato, sprovvisto di una legittimazione politica, si trovi a dover scegliere tra diritti egualmente meritevoli di tutela: “La giurisdizione deve collaborare con gli altri poteri, non sostituirli. Il giudice non può essere chiamato a svolgere funzioni di orientamento etico al posto del Parlamento”.
Infine, un richiamo accorato alla necessità di investire nella giustizia: risorse umane e finanziarie, oggi sempre più carenti: “Senza personale qualificato, senza risorse stabili, non possiamo garantire una giustizia all’altezza delle aspettative sociali”, ha ammonito. L’obiettivo, ha ribadito, è ricostruire fiducia: “Siamo una collettività disorientata, che ha bisogno di credere nello Stato. Ma lo Stato deve dimostrare di meritare questa fiducia”. E ha concluso citando Cicerone: “Non abbandonare mai il proprio posto di guardia nella vita. Noi magistrati, oggi, lo rinnoviamo davanti al Capo dello Stato”.