A fine anno è tempo di bilanci e sul piano energetico e del contrasto alla crisi climatica per il nostro Paese non si mette benissimo. Alcuni parametri indicano, infatti, un rallentamento, soprattutto dal punto di vista di una serie di regolamentazioni in attesa di approvazione, tanto da meritare una bocciatura senza appello da parte delle associazioni ambientaliste. Come certifica Eurostat, mentre in tutta l’area Ue le rinnovabili crescono, l’Italia registra una flessione di 0,1 punti, e i tempi di autorizzazione per i nuovi allacci richiedono ancora dai tre ai cinque anni, contro i diciotto mesi stabiliti dal Regolamento emergenziale UE 2022/2577. “Se calcoliamo la media di installazione degli ultimi tre anni, pari a 0,56 gigawatt, rischiamo di raggiungere l’obiettivo di 70 gigawatt di nuovi impianti a fonti rinnovabili al 2030 tra 124 anni”, è stato il commento di Legambiente nel rapporto “Comunità rinnovabili” di giugno di quest’anno.
Da quanto emerge dal quinto MED & Italian Energy Report, anche per quanto riguarda il grado di dipendenza energetica da Paesi esteri, l’Italia è quello nell’area UE con il maggior grado, pari al 73,5%, contro, ad esempio, il 44,2% della Francia. Ma ciò che contestano maggiormente le associazioni ambientaliste è il ritardo del nuovo Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima (PNIEC), fermo al 2020.
Secondo il bilancio 2023 relativo alle “scelte del Governo italiano in materia di tutela ambientale” tracciato dal Wwf Italia si parlerebbe addirittura di “un anno a marcia indietro per clima e natura”. Oltre alla assenza di una legge per il clima (necessaria per incardinare la sfida della crisi climatica nella legislazione), del nuovo Pniec, del Piano Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici, del decreto per le Aree idonee per le rinnovabili, dei decreti attuativi delle Comunità energetiche e del Testo unico sulle Rinnovabili, a preoccupare è anche il dibattito sull’Autonomia differenziata, che “rischia – secondo il Wwf – di frammentare e rendere non omogenea proprio la tutela del nostro capitale naturale, patrimonio di tutti i cittadini”.
E la lista dei provvedimenti in attesa di approvazione si allunga: assente una strategia operativa per la conservazione della biodiversità 2020-2030; in stallo l’individuazione delle aree per lo sviluppo della protezione che dovrebbero andare a coprire, entro il 2030, il 30% del nostro territorio a terra e a mare; mancano la legge sul consumo del suolo e i decreti attuativi della Legge Salvamare; manca l’implementazione di un Piano di Gestione dello Spazio Marittimo (PGSM), per il quale è stata già avviata una procedura di infrazione; manca la definizione delle misure di conservazione di diversi Siti Natura 2000 marini e non è stato ancora approvato il Piano Pesticidi, scaduto nel 2019. In Europa, ricorda poi l’associazione, l’Italia ha votato contro l’approvazione della Nature Restoration Law, la legge che prevede il ripristino del 20% degli ecosistemi terrestri e marini entro il 2030.