La distanza di salario, di previdenza, di considerazione, tra lavoratori autonomi da quelli dipendenti diventa un caso. Con gli autonomi esclusi da benefici e incentivi, da possibilità di carriera e guadagni se non pesantemente tassati. Fino ad avere una aspettativa pensionistica diversa.
“In base a quale criterio un lavoratore notturno o un autotrasportatore svolge mansione usurante se è un dipendente, e non usurante se autonomo? E ancora, in virtù di quale parametro un “operatore della cura estetica” o un “conduttore di impianti per la lavorazione dei metalli, del vetro o della ceramica” svolge compiti da ritenersi gravosi solo se la medesima attività è sviluppata in forma subordinata e non autonoma?”. Sono le domande chiare e sintetiche poste da Antonio Licchetta, esponente della Confederazione nazionale degli artigiani, presidente del Comitato amministratore della Gestione dei contributi e delle prestazioni, che in una ricerca dal titolo: “Il lavoro non è uguale per tutti”, sottolinea come si siano imposte norme che più che favorire il lavoro e regole comuni, creano disuguaglianze e prospettive diverse, al limite della legalità.
Autonomi esclusi
“L’esclusione dei lavoratori autonomi dai benefici previdenziali”, fa presente Licchetta, “appare davvero incomprensibile e ai limiti della legittimità costituzionale, anche alla luce delle attività lavorative ritenute usuranti o gravose, non di rado direttamente svolte anche dagli artigiani”, sottolinea Antonio Licchetta. Di fatto molti lavoratori autonomi che svolgono mansioni e attività alla pari di un collega dipendente, di fatto sono esclusi da percorsi previdenziali come le opportunità di accedere a benefici di flessibilità di uscita.
Il presidente del Comitato amministratore della Gestione dei contributi e delle prestazioni della Cna, spiega come in tre decenni non ci sia stata una evoluzione. “Nel rileggere il bel volume dal titolo “Fondata sul lavoro?” (Ediesse, 1994), dalla lunga conversazione-intervista di Alberto Orioli a Gino Giugni, emergono temi e riflessioni che, a distanza di quasi trent’anni, appaiono ancora di estrema attualità”, puntualizza Licchetta,
“Alle doti di analisi e di anticipazione delle dinamiche future, proprie del giuslavorista, si sommano le lentezze del nostro sistema nel porre rimedio alle criticità esistenti e, ancor di più, a quelle previste o prevedibili”.
Visione paternalistica
Licchetta del libro richiama i passaggi Costituzionali e di come lo stesso Giugni, osservava come sia prevalsa: “una visione paternalistica del diritto del lavoro: tutto ha origine dal presupposto che, tra le due parti in causa, come accade nel diritto penale nei confronti del reo, debba sempre prevalere l’interpretazione a favore del lavoratore subordinato. E questo, non ho timori a dirlo, non è giusto”.
Colmare ingiuste differenze
Su questa “ingiustizia” il dirigente della Cna, ripercorre le tappe delle decisioni Costituzionali, per arrivare fino alla attualità dei nostri giorni e indicare come il solco tra lavoratore dipendente e quello autonomo si è ulteriormente ampliato. “Se è vero che la nostra Repubblica è fondata sul lavoro e non sui lavoratori, e che il lavoro su cui essa si fonda è il lavoro di tutti, ancor più vero deve essere che lo svolgimento di identiche attività lavorative non si deve tradurre in differenti e discriminanti possibilità di pensionamento.
Partendo da questo assunto”, conclude Antonio Licchetta, “si potrà più agevolmente riflettere seriamente sulla individuazione di strumenti alternativi ai pensionamenti anticipati, ai quali ancora troppo spesso si ricorre come facile rimedio alle diverse criticità esistenti”.