domenica, 5 Maggio, 2024
Geopolitica

Il mondo sconvolto. L’Occidente in ripresa e l’incognita cinese

Conversazione con Ettore Greco

Gli equilibri che avevano resistito alla Guerra fredda sono saltati con la guerra in Ucraina, rimescolando le carte, facendo emergere nuove fratture e il protagonismo di nuovi attori internazionali in un contesto in cui Stati Uniti ed Europa hanno ritrovato un ruolo più complesso che in passato ma essenziale per la difesa della democrazia e il contrasto alle autocrazie sempre più aggressive. Ne parliamo con Ettore Greco, Vice Presidente vicario dell’Istituto Affari Internazionali (IAI)

 

La guerra ha sconvolto gli assetti geopolitici mondiali o ha solo accelerato cambiamenti che erano già in corso?

L’ invasione russa dell’Ucraina è scattata quando erano già in atto delle trasformazioni molto profonde negli equilibri mondiali. In due direzioni. La prima: c’è stato il progressivo affermarsi di un assetto multipolare nel quale evidentemente il peso relativo dei Paesi occidentali andava diminuendo con l’ascesa di nuove potenze, in particolare la Cina. Si è quindi da tempo profilato l’ antagonismo crescente fra Cina e Stati Uniti che si sta trasformando sempre più in antagonismo della Cina contro tutto l’Occidente.

Il secondo fenomeno, molto rilevante, è stata la crisi del processi di globalizzazione che si erano già manifestati con la tempesta finanziaria e poi con la pandemia: sono state rimesse in discussione alcune catene del valore e gran parte dei rapporti commerciali e finanziari ora trovano difficoltà a svilupparsi rispetto a prima. L’idea è che rispetto a queste due direzioni, la Guerra in Ucraina ha avuto la funzione di acceleratore.

La guerra ha accelerato anche qualche tendenza positiva? L’Occidente ne è uscito rafforzato?

Il problema del Power Shift, dello spostamento dei pesi nel sistema delle relazioni internazionali, è un dato di fatto.

C’è un centro di gravitazione verso l’Asia con la crescita cinese. Se, però, prendiamo come esempio la capacità dell’Occidente di reagire, in modo coeso ed efficiente, a questa nuova minaccia (minaccia che si è poi concretizzata) rileviamo dei segnali positivi di un Occidente che sa sviluppare un’azione comune con coerenza.

Perché effettivamente molti avevano scommesso sulle difficoltà che avrebbe incontrato l’UE nei rapporti con gli Stati Uniti nel fronteggiare questa crisi. Durante la guerra, invece, abbiamo notato innanzitutto che gli USA con l’Amministrazione Biden hanno confermato il loro impegno a difesa dell’Europa, in maniera molto decisa e con un’azione militare e diplomatica molto efficiente, col sostegno alla Nato e ai Paesi più direttamente minacciati dalla Russia. Da un punto di vista transatlantico, la Nato si è allargata con la Finlandia e c’è la prospettiva che entri anche la Svezia. Da un punto di vista europeo il bilancio è positivo perché comunque i Paesi dell’Unione hanno tenuto una posizione ferrea, seppur con qualche divergenza.
Nel complesso hanno preso tutte decisioni anche con conseguenze importanti pagando anche un costo alto per sostenere l’Ucraina e lo hanno fatto con un livello di coesione e di consenso molto forte . Il che non era per niente scontato. Lo si è visto con l’applicazione di sanzioni pesanti contro la Russia , con il sostegno alle forze armate Ucraine, per non parlare poi della sfida dell’afflusso di migranti ucraini dove l’Unione Europea si è fatta trovare pronta assorbendo questa migrazione si enormi proporzioni.

Un altro fronte è stata la capacità di reagire alla sfida energetica che era una di quelle armi su cui Putin aveva puntato moltissimo per mettere in ginocchio l’Europa: voleva far leva su un malcontento popolare che avrebbe dovuto mettere in crisi i Governi dei 27. Il bilancio è molto positivo: ci si aspettava un inverno molto duro e invece le tante iniziative intraprese dall’Unione, la costruzione di nuovi impianti di rigassificazione e il cambiamento del mix energetico hanno tolto a Putin una potente arma di ricatto. In un contesto più ampio dobbiamo comunque rilevare che l’Occidente continua a dover fare i conti con questa la forte influenza della Cina e sta provando a reagire anche con altre politiche transatlantiche con un’evidente difficoltà a trovare una relazione efficace con quello che si definisce in modo piuttosto discutibile come global south quindi con tutti quei Paesi che non sono schierati nella guerra.

Da questo punto di vista l’India è il Paese cruciale per un riassestamento degli equilibri. Se fosse più vicina alla Cina sarebbe un bel problema se riannodasse solidi rapporti con l’Occidente potrebbe segnare una svolta epocale?

L’India è in grossa ascesa, svolgerà un ruolo sempre più importante Non intende piegarsi ad una logica di alleanze strette. Con la Cina ci sono rivalità storiche e anche problemi di confine e anche una competizione  per l’influenza sui Paesi del Sud Est asiatico.

È immaginabile che le relazioni resteranno problematiche tra i due Paesi. L’India potrebbe far parte di un fronte anti-cinese non come appartenente in modo organico ad un blocco occidentale ma stabilendo collaborazioni limitate come l’iniziativa Quad che la unisce a Stati Uniti, Giappone e Australia. Non si tratta di un’alleanza militare, si tratta di un raggruppamento che può fare da ulteriore contrappeso nei confronti della Cina. È questo il senso di una serie di iniziative del Presidente Biden che hanno altri a Paesi, Giappone, Corea del Sud e Australia a stringere accordi anche militari con Washington.

L’India si colloca in una posizione diversa. C’è poi il suo rapporto con la Russia, tradizionale fornitrice di armi continua da cui Nuova Dehli continua a dipendere anche se meno che in passato. Gli Stati Uniti vorrebbero sostituire la Russia nella fornitura delle armi e nelle tecnologie avanzate. L’India non rinuncerà ai suoi legami commerciali con Mosca che si sono intensificati per le sanzioni: acquista prodotti energetici sottocosto e li rivende guadagnandoci molto.

Gli Stati Uniti pagano in termini economici il prezzo più alto per gli aiuti, militari e non, all’Ucraina. Ma ne traggono un vantaggio anche d’immagine, un aumento di credibilità e di prestigio dopo la fuga dall’Afghanistan?

La politica estera americana di Biden è stata rassicurante, multilateralista, favorevole alla Nato. Gli Usa ne traggono vantaggi in Europa, perché durante la presidenza Trump c’erano molti timori che l’America potesse disimpegnarsi dal Vecchio Continente.

E vantaggi ci sono anche presso i Paesi asiatici che più temono la Cina. Non altrettanto succede con il resto degli altri Paesi che non appoggiano l’impegno occidentale nella guerra e non condividono l’atteggiamento degli Usa in Medio Oriente

Se la guerra non dovesse concludersi entro il 2023, potrebbe essere un problema per Biden affrontare la campagna elettorale presidenziale del 2024?

Certamente. Al momento nel Congresso c’è un forte consenso per la politica che si sta perseguendo verso l’Ucraina. Molto dipenderà dai frutti che porterà questa controffensiva di Kiev. Però ci sono già forti differenze, se pensiamo alle posizioni di Trump.

Ci sono molti che scommettono sulla vittoria di Trump e su un cambiamento significativo, con un disimpegno o impegno minore nello scacchiere europeo. Biden ha un approccio che va nel senso di consolidare i rapporti con l’Europa, contrastare le autocrazie e il revanscismo della Russia.

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