martedì, 30 Aprile, 2024
Esteri

Will God save the King?

Una cerimonia medioevale, suggestiva, solenne, antica, autentica. Westminster Abbey: incoronazione di Elisabetta II e incoronazione di Carlo III, sotto la pioggia. Parafraserei: “corone bagnate, corone fortunate”… Entrambe?

Carlo compare ammantato di ermellino, un brutto pugno allo stomaco. La giustificazione potrebbe essere il rispetto della tradizione e il fatto che quel mantello di pelliccia sia riciclato. Il sospetto è che ambientalismo ed animalismo siano scelte intellettuali e non esigenze profondamente avvertite? Forse, venti inseguiti in gioventù, poi diventati bandiera della propria volontà di distinguersi, alla ricerca di una identità definita nel tentativo di affermare una differenza, costruita in alternativa alla madre. Nell’intento di dire bene del Re, una biografa dei Reali, Catherine Mayer, ha espresso una propria convinzione su Charles: “Ha sempre avuto mire più alte che diventare Re. Lui vuole salvare il mondo”. In effetti, alla sua incoronazione sono stati invitati sia rappresentanti di tutte le religioni sia teste coronate di tutto il mondo (entrambi gli inviti non erano consentiti in precedenza), oltre ad 800 commoners. Forse, vorrebbe mostrare di essere grandioso, inclusivo, re di un regno universale, ingraziarsi la popolazione del vacillante Regno Unito e l’opinione mondiale. Forse, il nuovo Re pensa di poter dimostrare di essere il più grande e di non temere di essere oscurato dagli altri sovrani della terra.

Oppure, viceversa, tutto ciò ha svelato il suo bisogno di consenso e di approvazione? E’ stato commentato che alcuni suoi atteggiamenti rivelano che “non si sente all’altezza” del ruolo di Re. Da Diana, ai cronisti degli scorsi decenni, fino ad oggi, il dubbio che Charles “non avrebbe tollerato a lungo gli impegni da regnante, in quanto avrebbero limitato il tempo da dedicare alle sue passioni”, rimane. Un altro segno di insicurezza sembrerebbe quello di aver disposto che alla sua incoronazione non venissero indossate tiare. La cerimonia si è svolta di mattina e la tiara non si indossa prima delle 18,00, ma l’unicità dell’evento poteva costituire una eccezione. Invece, sono stati consentiti solo, ovviamente, i fascinators, preferibilmente floreali.

In questo contesto, abbiamo ascoltato una delle letture della Liturgia della Parola scelte per l’occasione. Particolarmente, i versetti Lc 4,18-21. “Lo Spirito del Signore è sopra di me,
perciò mi ha unto… Gli occhi di tutti erano fissi su di Lui… Oggi si è compiuta questa parola che voi avete ascoltato”. Nelle Scritture questo è riferito a Gesù… Scelta non felice.

Grazie a Dio, la funzione religiosa, culminata appunto nel momento dell’unzione, in una sorta di “sancta sanctorum” approntato in pochi secondi, ha improntato la cerimonia conferendo all’incoronazione la sacralità che le è propria. Nella preghiera per il giuramento del Re e nell’omelia, l’Arcivescovo di Canterbury, Justin Welby, ha pronunciato alcune frasi che sembrano evocare quanto Elisabetta II ha incarnato nella propria vita: “trovare la perfetta libertà nel servizio”, “il trono di Gesù era la Croce” e “che Voi possiate essere un audace difensore dei bisognosi”.

Dio esaudisce, attenzione a ciò che si chiede: iniziato per egocentrismo o no, adesso l’impegno giovanile di Charles verso i deboli è diventato un impegno “reale”.

La chiave della sacralità della regalità è nel giuramento dell’alleanza tra Dio e il Re e tra il Re e il popolo. Perché nella Bibbia, per stabilire l’Alleanza con Israele, giura solo Dio. E’ Dio che passa tra gli animali sanguinanti divisi, perché sa che l’uomo non riuscirebbe a mantenere il giuramento. “Ma io vi dico: non giurate affatto…” (Mt 5,34). Al Re, come a ciascuno di noi, resta “il timore del Signore, sia il Vostro tesoro” (tra le preghiere innalzate dopo l’apposizione della corona).

Infine, “possiate Voi indirizzare i Vostri consigli con grazia”. Una frase, delicata ed educata, fuori tempo?

Usata molte volte in questi giorni, la parola “anacronistico”, riferita al cerimoniale, è stata detta da chi forse non ha cognizione completa dell’importanza della conservazione della tradizione.

Molte imprecisioni nei commenti. “Come quando si pensava che la sovranità provenisse da Dio”… L’autorità proviene da Dio, ieri, ora e sempre, è un’unzione. E ancora: “l’ascesa al trono” è stata l’8 Settembre 2022, non durante questa cerimonia, come è stato detto. L’espressione “ascesa al trono” non è “desueta”, bensì sottolinea la sacralità del ruolo. L’ascesa è nel momento del trapasso del regnante precedente. Non comprendo perché i cronisti debbano sentirsi in dovere di dissociarsi dalla condivisione o almeno dall’apprezzamento di questa ritualità.

La monarchia britannica andrebbe addirittura rafforzata, cioè ancora più nettamente definita. Poi, nei rapporti diplomatici e nelle relazioni politiche e nella gestione del rapporto con le etnie e le religioni, allora sì, elasticità ed ecumenismo.

Tre i momenti di grande intensità emotiva in cui la verità ha prevalso sulla ritualità. Il posizionamento della corona sul capo del nuovo Re, il momento vero, affettivo, intimo, sentito, familiare dell’omaggio, con la promessa di fedeltà al Sovrano, da parte di William. Un incrocio rapido di sguardi azzurri, il tocco che sfiora la corona e il bacio sulla guancia al proprio padre. Da figlio. Ed il prolungato, quanto il tratto di cammino dalla poltrona al trono al fianco di Carlo, sguardo di Camilla incoronata che sfila davanti al Re, illuminata da un sorriso consapevole e felice, complice. Molte parole pensate ma evidenti, un torrente di frasi, forse già dette tra loro in anticipo, scritte sugli occhi scintillanti e velatamente rassicuranti, come sempre. Camilla ha gustato ogni attimo della cerimonia un po’ sorpresa, a tratti smarrita ma sempre disinvolta e sorridente, mai impacciata, anzi divertita, appena quasi informale.

Se, come è stato detto, Elisabetta II era un “magnete fortissimo” per la coesione del Regno, questo Re, invece, necessita egli stesso di un magnete per sé: Camilla. E’ lei, adesso, l’ancora che rende stabile il fluttuante Regno di Carlo, oltre che Carlo stesso.

Al passaggio della carrozza il popolo ha scandito ”God save the King”, ha urlato e agitato cellulari, più per sé, però, per “esserci”, per fare festa, che per slancio di affetto e devozione, che restano ancora per Elisabetta. Nei sudditi, infatti, c’è più curiosità che entusiasmo o autentico trasporto verso il Re.

Se il moderno sarà bene innestato nella tradizione portante, il Regno resisterà… altrimenti, l’identità della secolare monarchia britannica risulterà ibridata e andrà irrimediabilmente perduta per sempre.

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