sabato, 27 Aprile, 2024
Sanità

1.600 aggressioni contro operatori della sanità

Ogni anno sono circa 1600 le aggressioni in sanità che si verificano nelle strutture sanitarie pubbliche e private del nostro Paese secondo i dati INAIL riportati nella prima Relazione elaborata dal Ministero della Salute sul grave fenomeno, inviata al Parlamento qualche giorno fa.

Nel corposo documento di 179 pagine, curato dall’Ufficio Personale del Servizio Sanitario della Direzione Generale delle Professioni Sanitarie e delle risorse umane del Servizio Sanitario Nazionale del Ministero della Salute, con la collaborazione dell’Osservatorio Nazionale Sicurezza Esercenti Professioni Sanitarie /ONSEPS), viene sottolineato, tra l’altro, sempre secondo dati INAIL che nel triennio 2019-2021 gli infortuni da violenze e aggressioni in sanità denunciati  sono stati complessivamente 4821, corrispondenti, in media, ad oltre 4 al giorno.

Relativamente alla natura delle lesioni si evidenzia che nel 54,6% dei casi si tratta di contusioni, nel 22,4% lussazioni, distorsioni, distrazioni, nell’8,9% dei casi si rilevano ferite e nel 7,6% dei casi fratture; il restante 6,5% dei casi riguarda diverse fattispecie di lesioni. In merito al distretto anatomico, nel 30% dei casi la lesione ha interessato gli arti superiori, nel 21% dei casi la regione della faccia, nel 17% la regione toracica, nell’11% la regione della colonna vertebrale; il restante 21% dei casi riguarda tutti gli altri distretti corporei (addome, pelvi, etc.).

Federsanità e Simeu hanno fornito all’ONSEPS un notevole contributo informativo sullo stato dell’arte, chiedendo, a febbraio 2022, alle Aziende sanitarie di inviare quanto realizzato in tema di prevenzione dalle aggressioni in sanità e di “recupero” alla professione per gli operatori sanitari che avessero subito aggressioni e/o minacce.

In meno di un mese dall’invio della richiesta a 154 strutture sanitarie del SSN, ben 92 realtà hanno inviato materiali. Le strutture che hanno risposto sono 93 e appartengono a 17 Regioni italiane, distribuite in 51 Nord, 26 Centro e 15 Sud.

I documenti arrivati sono stati prodotti da strutture sanitarie diverse anche dal punto di vista della mission di cura: 60 strutture territoriali (ASL, ASP, ASST, ecc.), 24 tra Aziende Ospedaliere e Aziende Ospedaliere Universitarie, 6 IRCCS, 1 Azienda regionale (Alisa), 1 Azienda di emergenza-urgenza (ARES 118).

Dai risultati delle 92 cartelle create con i materiali inviati, raccolti in una pubblicazione di circa 3500 cartelle, al di là delle possibili modifiche strutturali a protezione degli operatori, il dato che emerge con forza è un’azione di comunicazione molto ridotta nei confronti dei cittadini utenti dei servizi sanitari. Le azioni di comunicazione che le strutture sanitarie hanno adottato sono diffuse e pubblicate soprattutto su e con strumenti interni (delibere, intranet, ecc.). Quando sono rivolte ai cittadini è per dire: “Attenzione, non andare oltre perché prenderemo provvedimenti!”.

“Tuttavia, i dati evidenziati dalla rilevazione, ha sottolineato Tiziana Frittelli, Presidente Federsanità, fanno pensare che la Raccomandazione ministeriale n.8/2007  in questi quindici anni, è stata in gran parte applicata dalla totalità delle Aziende sanitarie. Se oggi si immaginasse una evoluzione di quella Raccomandazione, questa si dovrebbe concentrare con maggiore attenzione sugli aspetti relativi alla comunicazione e informazione con iniziative omogenee sul territorio nazionale”.

Si tenga presente, comunque,  che la violenza contro gli operatori della sanità non è solo un evento sentinella di disagio e di malfunzionamento della relazione tra cittadini e servizi sanitari. Essa rappresenta anche un danno in termini innanzitutto umani, in seconda istanza anche professionali e sociali: spesso gli operatori che hanno subito violenza ne risultano in qualche modo traumatizzati e ancora troppo raramente le strutture sanitarie attivano percorsi specifici di recupero e di riabilitazione.

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