sabato, 20 Aprile, 2024
Considerazioni inattuali

Oltre le nostre colonne

Il frammento 182 di Saffo – ἰοίην“Che io possa andare oltre!” – unica parola di un’intera smarrita poesia, rimasta sola senza contesto e contorno, assumendo su di sé tutto il carico delle altre parole perdute: è da sempre interpretata quale espressione di un travaglio interiore, come lo speranzoso desiderio del suo superamento; vicina forse in questo senso all’aufhebung hegeliano, a quello stadio intermedio che toglie via e al contempo interiorizza e conserva per sollevarsi: tutto in un momento, in una parola, come per il frammento della poetessa di Eresos.

IL SENSO DUPLICE: LA SFIDA

Eppure, forse erroneamente, il primo contatto con questa parola e con la sua traduzione ha assunto per me un significato differente, quello di una speranza rivolta e tendente ad un fine che non si limitasse a superare un male ma che aspirasse ad andare ancora oltre: trasformando il bene in meglio. E comunque sempre pieno del suo sostanziale senso di speranza: iniettato dello stesso desiderio di superamento sì, ma non di uno stato di disagio, bensì del macigno dei propri limiti. Dunque: Che io possa andare oltre me stessa, oltre la demarcazione della latitudine e della longitudine di schemi già precostituiti, determinati dalle categorie della mia mente. Come nell’ottica dantesca, che vede Ulisse come il primo uomo a tentare di oltrepassare le colonne d’Ercole, soglia ultima delimitante il confine con il mondo sconosciuto, guardo allo ἰοίην saffico come a un ibrido tendente alla ὕβρις odissiaca – l’insolenza tracotante che sfida gli dèi – ma al contrario con tutta l’umiltà e l’equilibrio che compongono la speranza.

LA SOSTANZA DELL’ENTUSIASMO

Una speranza che per sua stessa natura non può quindi confondersi con la superficialità delle esaltazioni ma che si addensi nella sostanza dell’entusiasmo. Perché l’entusiasmo è pieno esattamente di tutto il significato e lo spessore di cui l’esaltazione è mancante: l’essenza del primo si sostanzia nelle volontà della mente, mentre quella della seconda nei moti dell’istinto. E allora sì che ci si può lanciare con l’entusiasmo di chi sa pensare e di chi vuole sfidare sé stesso e non è mai in lotta con gli altri, con il contorno: proprio come il frammento 182, che si regge da sé e si propone al mondo senza contesto, senza niente, nessun altro termine – in ogni senso – che lo delimiti e che nemmeno lo supporti; che si lancia da solo nel vuoto della pagina, così come noi oltre le colonne: le nostre, quelle radicate dentro ciascuno e forse ancora più inscalfibili di quelle del mito, limite estremo del mondo conosciuto.

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