venerdì, 29 Marzo, 2024
Economia

Se i tassi non si fermano si ferma l’economia

L’aumento del tasso di riferimento, che era stato annunciato da qualche tempo, è stato in concreto adottato dalla Bce portando portato il tasso di riferimento al 2 per cento, con un rialzo di 0,75 punti percentuali. Quest’ultimo aumento era stato preceduto da altri aumenti del tasso di riferimento e la presidente Christine Lagarde non ha escluso nuove strette creditizie, sebbene a tutti sia evidente che tali decisioni di politica economica rischiano di deflazionare i sistemi economici dei vari paesi dell’Unione. Le decisioni di tali misure di politica monetaria vengono giustificate adducendo i rischi connessi al processo inflattivo in corso. Ma sono in molti – e tra questi il Governatore della Banca d’Italia ed il presidente dell’Abi- a paventare che tali misure possano determinare l’insorgere di una ciclo recessivo.

Per tentare di valutare le conseguenze dell’aumento dei tassi occorre fare un passo indietro per chiarire che i processi inflazionistici si connotano per la presenza di un eccesso di domanda di beni di consumo o/e di beni di investimento rispetto alla loro offerta. E tale squilibrio tra offerta e domanda a determinare la lievitazione dei prezzi e, dunque, l’inflazione.

Ebbene, non sembra che, al momento attuale, sussista un tale squilibrio nel nostro paese o negli paesi europei.

A determinare, a livello macroeconomico, la lievitazione dei prezzi è il forte aumento dei prezzi dei prodotti energetici, che, a sua volta, determina effetti negativi non solo nei conti delle famiglie, ma anche su quelli delle imprese. La ragione dell’aumento del livello dei prezzi sta tutta qui e non in un supposto eccesso della domanda sull’offerta. Anzi, la domanda per beni di consumo non sembra aver subito alcun aumento, visto che le famiglie sono costrette ad impiegare le proprie risorse per far fronte all’impennata dei prodotti energetici.

È ben noto che il ricorso alla misura dell’aumento del costo del denaro è destinata ad incidere sulla domanda per beni di investimento. Si suppone che, se il ricorso al mercato creditizio è molto oneroso, gli operatori economici si guarderanno bene ad attingere ad esso, specialmente in periodi, come quello attuale, in cui la domanda per beni di consumo non offre buone prospettive.

L’aumento del costo del denaro, dunque, ha, sostanzialmente, come destinatari le imprese, vale a dire soggetti economici già in crisi, a causa dell’amento dei prezzi dei prodotti energetici. In questo contesto, vi è da chiedersi se fosse veramente indispensabile inasprire, in maniera così massiva, il tasso di rifermento, tenuto conto che la lievitazione dei prezzi è determinata da fattori contingenti (la guerra in Ucraina). Ma, forse, il vero problema è che dell’Unione fanno parte paesi che, per ben precise ragioni storiche, hanno ragionevolmente il terrore dell’inflazione. Comunque, riflettendo sulla realtà attuale, come ben scrive Dino Pesole su Il sole-24 ore, la mente non può non correre agli ‘70 del secolo scorso, quando il concomitante concorso dello shock petrolifero e della dinamica del costo del lavoro, diedero l’avvio ad una crisi che, in parte, presenta analogie con quella attuale.

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Redazione

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