Per comprendere meglio il problema attuale delle comunicazioni, forse è opportuno partire da lontano. E’ noto che intorno ai primi anni ’80 scoppiò la guerra nell’etere tra le radio locali. Esse operavano in maniera non del tutto legittima e ciò determinò una serie di controversie, che non si sapeva bene come risolvere, in assenza di dati normativi sicuri. I seguito alla sentenza della Corte costituzionale n. 102 del 1976, che, ruppe il monopolio Rai, l’etere non era più possibile essere considerato una res communes omnium.
Tale sentenza aveva dichiarato l’illegittimità di alcune norme della legge n. 103 del 1975 quanto meno nella parte in cui non consentiva ai privati, previa autorizzazione, l’esercizio di impianti di diffusione radiofonica e televisiva via etere di portata non eccedente l’ambito locale, auspicando l’emanazione di una normativa che disciplinasse la materia, normativa che, quanto meno nel breve periodo non venne adottata. L’etere allora da bene eccedente i bisogni umani divenne un bene scarso, con la conseguenza che l’intero settore divenne una giungla, quasi a confermare l’antica idea che il diritto ha la funzione di evitare che i cittadini si facciano giustizia da sé.
Assunto, dunque, che l’etere non potesse più essere considerato un bene comune a tutti, ci si chiedeva, tuttavia, se esso potesse essere annoverato tra i beni in senso giuridico. Vi era chi dava risposta negativa al problema, nella convinzione che, affinché una risorsa possa essere considerata un bene in senso giuridico, fosse indispensabile l’esistenza di una normativa, finalizzata a regolarne le modalità di appropriazione. Tale soluzione, tuttavia, fu sottoposta a varie critiche.
Tuttavia, era evidente che un problema sussisteva, poiché le emittenti locali, chiedevano ai giudici di mettere ordine nella giungla e nel caos. E così le varie imprese chiedevano provvedimenti d’urgenza e altre cautele che, peraltro, stando alla vecchia formulazione dell’art. 700 del c.p.c., potevano essere emessi, alla presenza di determinati presupposti, tra i quali acquisiva un significativo rilievo la presenza della lesione di un diritto soggettivo.
I giudici, non si sa se ispirandosi a Carl Smith o per evitare di concludere la controversia con un non liquet, assumevano decisione diversificate, visto che in questo caso le liti non erano suscettibili di essere decise né attraverso l’interpretazione estensiva, né attraverso il ricorso all’analogia,
Ma occorre anche considerare che al giudice è vietato concludere le controversie con un non liquet, visto che tale decisione integrerebbe la fattispecie penale dell’omissione di atti di ufficio. Da quando lo Stato ha evocato a sé il monopolio della funzione giurisdizionale, tra i pochi vincoli, che incombono a carico dei giudici, vi è quello di non poter non decidere.
I pretori, allora, tentavano, dunque, di risolvere le diverse controversie, richiamando sovente il possesso di beni pubblici.
La disciplina delle comunicazioni è stata più volte novellata, non sempre per ragioni encomiabili e così siamo arrivati alla normativa, che molto opportunamente è stata adottata con un decreto legislativo, e segnatamente, dal decreto n. 259 del 2003. (1-continua)