giovedì, 18 Aprile, 2024
Il Cittadino

Maratona per la prescrizione

Ne parlano poco i media. Quasi nulla la televisione, pochissimo e raramente i giornali. 

Ma dalle ore 9 di lunedì 2 dicembre, in piazza Cavour a Roma, di fronte al Palazzaccio, la sede della Suprema Corte di Cassazione, avrà inizio, voluta dalla Unione delle Camere Penali ed organizzata dalla Camera Penale di Roma, una maratona oratoria, ininterrotta, che durerà per tutta la settimana.

Sì alterneranno a parlare, passandosi un simbolico testimone, centinaia di avvocati che racconteranno ad alta voce la realtà dei processi in Italia, prospettando la barbarie che deriverebbe dall’allungamento della prescrizione.

Se qualche cittadino si trovasse a passare nei paraggi farebbe bene a prestare orecchio a quei discorsi.

Il problema della prescrizione è innanzitutto una questione di civiltà.

Se nel campo civile la prescrizione costituisce la base per la certezza dei rapporti giuridici, ancora di più nel settore penale la prescrizione deve essere regolata con attenzione assoluta e deve contemperare differenti esigenze: l’esigenza di assicurare alla giustizia chi abbia commesso un reato e la certezza della pena; senza però travalicare il diritto del cittadino ad un  “giusto” processo – dove “giusto” significa anche svolto in tempi ragionevoli – ed anche nell’ambito penale assicurare una certezza di rapporti giuridici; e, in linea con la costituzione, favorire con l’immediatezza della pena, non solo afflittiva, ma anche rieducativa, un reinserimento sociale del condannato.

Problema della prescrizione che diventa drammatico in un sistema penale come il nostro, nel quale l’habeas corpus è sconosciuto e la pena si sconta in gran parte, in barba alla presunzione di innocenza, prima della condanna.

Problema che la obbligatorietà dell’azione penale rende cogente e punitivo anche per il semplice indagato, ritenuto il malinteso che ha trasformato l’avviso di garanzia in una pena sociale e, per chi abbia un minimo di notorietà, anche in una pena mediatica: da scontare subito e che, indipendentemente anche dalla inesistenza del minimo indizio di colpevolezza, può durare a lungo: fino ad un processo che a volte viene atteso come un miraggio, come una liberazione.

Ecco, una prescrizione allungata o, addirittura, ricorrendo alcuni presupposti, senza fine, mina alla radice i diritti dei cittadini, la libertà del cittadino: già sacrificata oltre ogni accettabile limite democratico sull’altare della sicurezza e da un giustizialismo vendicativo e punitivo, predicato da molti santoni che si ritengono senza peccati (e non si peritano a scagliare la prima pietra).

Ma la giustizia non è solo condanna.

La giustizia trionfa molto di più quando una persona viene riconosciuta innocente,.

Pensate ad Enzo Tortora ed al trionfo – sia pure tardivo, proprio per l’imperfezione del nostro sistema – della giustizia che il suo caso ha rappresentato: laddove tutte le negatività per il malcapitato popolarissimo sfortunato presentatore sono derivate proprio dalla pena scontata prima di una mai arrivata condanna definitiva e dalla pubblicità – fino alla gogna della sua passerella in manette – data all’indagine, con le conseguenze sociali e professionali che ne sono derivate.

Occorre, insomma, compiere un passaggio culturale importante.

Perché pretendere un giusto processo entro tempi ragionevoli anche per il più bieco e crudele criminale, sarà utile anche per un malcapitato innocente, anche per ciascuno dei sessanta milioni di cittadini italiani innocenti: mille volte più numerosi dei sessantamila detenuti nelle nostre carceri: addirittura qualcosa di più se si considera che tra quei sessantamila galeotti c’è certamente qualche innocente.

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