martedì, 19 Marzo, 2024
Lavoro

Nella Ue la bioeconomia ha occupato 7mln di persone

La bioeconomia in Francia, Germania, Italia e Spagna, ha generato nel 2021 un output di circa 1.500 miliardi, occupando oltre 7 milioni di persone. È quanto emerge dal Rapporto “La bioeconomia in Europa”, giunto alla sua ottava edizione, redatto dalla Direzione Studi e Ricerche di Intesa Sanpaolo in collaborazione con il Cluster Spring e Assobiotec-Federchimica. In Italia, in partircolare, nel 2021 la Bioeconomia ha registrato un rimbalzo dell’output pari al 10,6%, diffuso a tutti i settori, recuperando pienamente il terreno perso e raggiungendo 364 miliardi, circa 26 miliardi più del 2019.

Il potenziale di sviluppo in ottica circolare è elevato nel nostro Paese e diffuso lungo tutto il territorio nazionale. L’aggiornamento al 2019 delle stime del valore aggiunto della bioeconomia nelle regioni italiane ne evidenzia un ruolo particolare nelle regioni del Nord-Est e del Mezzogiorno, con un peso sul valore aggiunto regionale dell’8% e 7% rispettivamente. Sotto la media italiana invece il peso nel Nord-Ovest (5,3%) e nel Centro (5,8%).

I rincari dei costi e le difficoltà di approvvigionamento degli input, in particolare quelli energetici ma anche quelli agricoli, avranno un impatto significativo per alcuni comparti della bioeconomia (agricoltura, pesca, carta e prodotti in carta in particolare).

La pandemia causata dal Covid-19 e lo scoppio del confitto in Ucraina hanno reso ancora più evidente la necessità di ripensare il modello di sviluppo economico in una logica di maggiore attenzione alla sostenibilità e al rispetto ambientale.

In questo contesto il ruolo della bioeconomia, ovvero il sistema che utilizza le risorse biologiche, inclusi gli scarti, per la produzione di beni ed energia, è molto rilevante: la sua natura fortemente connessa al territorio, la sua capacità di creare filiere multidisciplinari integrate nelle aree locali e di restituire, grazie a un approccio circolare, importanti nutrienti al terreno la pongono come uno dei pilastri del Green New Deal lanciato dall’Unione europea, al centro anche di molti progetti del Pnrr italiano. Per Gregorio De Felice, direttore del Centro Studi di Intesa Sanpaolo, “in un contesto reso ancora più complesso dalla guerra in Ucraina, occorre accelerare sul piano della sostenibilità ambientale.

La bioeconomia può rappresentare una risposta importante in questa direzione, in particolare per le regioni del Mezzogiorno, che possono contare su una buona specializzazione in questi settori e su un elevato potenziale innovativo”. Catia Bastioli, Ad di Novamont e presidente Cluster Spring, ha commentato: “In questo contesto di estrema vulnerabilità in cui la crisi del cambiamento climatico rischia di continuare ad alimentare la crisi energetica e delle materie prime, dobbiamo togliere ogni alibi e far scattare un’accelerazione senza precedenti verso una vera transizione ecologica.

Si tratta di riconoscere il valore sistemico della bioeconomia circolare, il suo potenziale rigenerativo, i suoi bioprodotti come catalizzatori del cambiamento, le sue bioraffinerie in grado di sfruttare residui e by-products e di produrre bioenergia, nonché la sua capacità di diminuire l’utilizzo di risorse non rinnovabili, massimizzando l’efficienza e la sostenibilità delle risorse rinnovabili”.

Elena Sgaravatti, vicepresidente Assobiotec-Federchimica, ha sottolineato come “la bioeconomia circolare è oggi un paradigma imprescindibile per evitare sprechi e valorizzare gli scarti. Dai cambiamenti climatici alla perdita di biodiversità, le crisi che stiamo affrontando sono le conseguenze dirette di un modello economico che è rimasto lo stesso dagli albori della rivoluzione industriale. Occorre ripensare profondamente il modo in cui si crea valore, allontanandosi dall’economia lineare, sostanzialmente estrattiva, è necessario un profondo cambiamento trasformativo”.

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