sabato, 27 Luglio, 2024
Esteri

L’Italia non coopera contro il terrorismo? Accusa risibile

A sorpresa una procedura di infrazione Ue contro l’Italia: non avremmo applicato a dovere la cooperazione transfrontaliera tra le autorità di polizia e giudiziarie, come da convenzione internazionale contenuta nella Decisione 2008/615 del Consiglio Giustizia e Affari Interni dell’Unione Europea. C’è da preoccuparsi?

 Dall’8 novembre 2016 anche l’Italia si è dotata di una banca del DNA, come stabilito nel 2005 con il “Trattato di Prüm”, con lo scopo di contrastare terrorismo, criminalità transfrontaliera e  migrazione illegale. Il trattato prevedeva anche l’istituzione di una Banca Dati Nazionale del DNA in seno alle forze di Polizia e di un Laboratorio centrale.

Si tratta di un server che raccoglie i codici dei DNA sequenziati provenienti da una decina di laboratori accreditati, che si occupano in Italia di eseguire le analisi sui campioni raccolti dalle Forze dell’Ordine, nell’ambito delle loro indagini.

Questi dati c vengono poi messi in rete in modo da rendere più facile lo scambio di informazioni – il c.d. “match genetico” – nell’ambito di indagini giudiziarie. Alcune decine di migliaia di codici “stoccati” sono presso il “Laboratorio centrale per la Banca Dati”, sotto il Dipartimento per l’Amministrazione Penitenziaria del Ministero della Giustizia.

La Banca del DNA è anonima, cioè ogni profilo relativo ai dati genetici sequenziati di una persona è identificato con un codice. Nessun nome e cognome, ma solo un token per la codifica.

I profili presenti nella banca dati sono inseriti nel Sistema CODIS (COmbined DNA Index System), una piattaforma software fornita dall’FBI alla Direzione centrale della polizia criminale, al Dipartimento della pubblica sicurezza e al Ministero dell’interno.

 

L’interscambio con le Autorità? Assolutamente frequente e collaborativo.

 La trasmissione dei dati può avvenire solo se si suppone –con più di un fondamento – che le persone interessate siano attenzionate in quanto costituenti una potenziale minaccia per l’ordine pubblico e la sicurezza, o, a maggior ragione, se si ritiene che stiano per compiere reati in tali contesti.

Per il terrorismo, a quanto risulta, la collaborazione si è intensificata soprattutto nel recente passato, proprio perché, purtroppo, la minaccia si è innalzata.

Unici in Europa, deteniamo il C.A.S.A., il Comitato di Analisi Strategica Antiterrorismo, istituito sin dal 2003 (dopo la strage di Nassyria), che settimanalmente si riunisce per analizzare il livello della minaccia terroristica, nazionale e internazionale.

C’è stata qualche farraginosità nei meccanismi di scambio di informazioni? Possibile. Scambiare informazioni delicate su presunti innocenti o, peggio, senza reale fondamento, non solo è vietato dalle stesse leggi ma sarebbe fuorviante per le stesse indagini.

Urge, invece, un coordinamento delle indagini antiterrorismo, cui la appena nata Procura Europea potrebbe senz’altro fornire un contributo, insieme agli altri organismi di Polizia (Europol e Interpol, ad esempio) che già peraltro ci lavorano.

Da tempo ricordo poi la necessità di un coordinamento maggiore – in una unità centrale è da vedere – tra le intelligence dell’area Ue.

I veri nodi sono, quindi, burocratici e politici. La volontà è ben presente e solida.

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