sabato, 20 Aprile, 2024
Editoriale

Femminicidi, il “codice rosso” non basta

L’ultima vittima in ordine di tempo si chiamava Elisa Pomarelli, uccisa, secondo quanto è emerso finora, perché il suo presunto omicida sarebbe stato “ossessionato” da lei. Al netto della presunzione di innocenza e delle indagini che stanno conducendo i carabinieri coordinati dalla Procura di Piacenza, il nome della consulente finanziaria – strappata agli affetti più cari per un impulso morboso che nulla ha a che vedere con l’amore né con l’amicizia – va ad aggiungersi al lunghissimo elenco di donne che hanno pagato con la vita la loro libertà ed autonomia. Ne abbiamo parlato con l’esperta criminologa Luana Campa, relatrice in molti convegni collegati a questo delicato argomento.

Luana Campa

La legge cd. Codice rosso rende le sanzioni più dure, eppure i casi di violenza sulle donne si ripetono a ritmo impressionante. Come mai?
“Sicuramente il Codice rosso – la nuova legge per le vittime di maltrattamenti in famiglia, stalking e violenza sessuale – rappresenta un passo avanti sulla strada dell’adeguamento della nostra normativa agli obblighi internazionali in materia di diritti umani delle donne. Ha inasprito le pene, ha rimodulato alcune aggravanti, ha introdotto nuove fattispecie di reato (il cd. “revenge porn” e lo sfregio del volto) e una corsia veloce e preferenziale per le denunce e per le indagini. Al riguardo, le vittime devono essere sentite dal pm entro 72 ore dall’iscrizione della notizia di reato. Ma, nella sostanza, mancano mezzi e personale. Quest’ultima norma non tiene conto delle reali capacità degli uffici”.

Quale è l’identikit del violento?
“Per prevenire la violenza di genere è necessario studiare coloro che compiono questo tipo di delitti. Il violento nel 90% dei casi viene dalla vita familiare, affettiva della vittima. È un partner o ex partner. La violenza di genere è agita da soggetti fragili dal punto di vista psichico. Sono maschi fragili, narcisisti patologici che vivono una totale insicurezza nei legami di attaccamento. Sono terrorizzati dall’abbandono, perché non hanno sperimentato nella propria vita infantile legami di attaccamento a base sicura, fondamentali per la salute psicofisica. Il femminicida è un matricida. Spesso si tratta di persone che non hanno precedenti penali o psichiatrici, eccellono nel mimetismo sociale, si confondono fra la gente. Chi fa del male per prima cosa disumanizza gli altri, manca di empatia, di compassione. Certamente uno stupratore è un soggetto disaffettivo che non riesce a riconoscere una soggettività a quel corpo di cui abusa. Una cosa che bisogna insegnare alle donne è il tasso di pericolosità psicopatologica dei loro partner. Un grande fattore di rischio è costituito dai comportamenti di “addiction”, cioè di dipendenza: affettiva (“love addiction”), droghe, alcol, gioco d’azzardo”.

Il femminicidio è solo un frutto avvelenato della cultura maschilista o dietro nasconde altre ragioni?
“Il Femminicidio è il frutto avvelenato della cultura maschilista, la conseguenza di un possesso negato, la percezione che la donna sia un mero oggetto da possedere, una proprietà che non ha diritto di scelta né tanto meno la libertà di lasciare il partner non più amato. La donna che sceglie è temuta dall’uomo debole, perché non è controllabile. Infatti, nella maggior parte dei femminicidi la causa scatenante è da ricercare in una matrice subculturale che autorizza il discontrollo degli impulsi aggressivi nei confronti di una donna in quanto espressione di un genere ritenuto inferiore. Sono uomini che hanno bisogno di un percorso di ridefinizione dell’identità maschile libera dal dominio. È il loro sistema di valori ad essere malato, non la loro psiche”.

Quali azioni possiamo compiere nella vita di tutti i giorni per migliorare la sicurezza delle donne?
“È fondamentale un impegno costante e non stagionale di noi tutti volto a contrastare gli stereotipi di genere, trasmettere alle nuove generazioni una cultura di equità, trovare le parole giuste per raccontare la violenza sulle donne senza provocare nuovi abusi (e qui mi rivolgo soprattutto ai giornalisti e ai magistrati). Ancora, bisogna offrire alle donne opportunità di riscatto economico e sociale. Il miglior modo per migliorare la sicurezza delle donne è tutelare il welfare state. Occorre riconoscere le pari opportunità tra uomini e donne nella vita sociale, lavorativa e familiare. Ormai serve la politica dei grandi passi”.

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