Il ceto medio “galleggia senza prospettiva”, una situazione che pesa sull’economia visto che il 45% che ha già ridotto i consumi. Quasi lapidaria così come posta in evidenza dal nuovo rapporto Cida-Censis, sulla classe una volta protagonista nella spinta di cambiamenti sociali, politici ed economici. Oggi il 66% degli italiani si riconosce nel ceto medio e per oltre il 90% ciò che conta davvero è il sapere, il livello di istruzione, le competenze acquisite. Ma questi valori, secondo Cida-Censis, non trovano più riscontro nella realtà economica: l’82% degli italiani che si autodefinisce di ceto medio denuncia che il merito non viene riconosciuto, che il capitale culturale non si traduce in una giusta retribuzione.
Ripensare fisco e welfare
Dai dati del rapporto Cida-Censis, dal titolo: “Rilanciare l’Italia dal ceto medio. Riconoscere competenze e merito, ripensare fisco e welfare”, emerge che, negli ultimi anni, oltre la metà del ceto medio ha visto il proprio reddito fermo, mentre più di uno su quattro lo ha visto calare. Solo il 20% dichiara un miglioramento. Tra chi ha figli, rispetto a dieci anni prima la condizione economica della famiglia è migliore per il 18%, peggiore per il 26,9%, uguale per il 23,8%.
Le vite dei figli
Il 50% dei genitori che si autodefinisce di ceto medio ritiene che, quando il proprio figlio maggiore avrà la sua età avrà una condizione economica peggiore di quella sua attuale, il 27,3% migliore e il 18,8% uguale. Nel ceto popolare le quote corrispondenti sono: il 50,3% peggiore, il 29,1% migliore e il 17,1% uguale. Nei ceti benestanti, il 44,7% peggiore, il 47,4% migliore e il 7,9% uguale. Considerando la totalità delle famiglie italiane, il 49,8% dei genitori pensa che il proprio figlio maggiore alla sua attuale età avrà una condizione economica peggiore, il 29,1% migliore e il 17,6% uguale.
Miglior fortuna oltre confine
Il 51,3% dei genitori che si autodefinisce di ceto medio è convinto che i propri figli o, in generale, i giovani farebbero bene a cercare all’estero un lavoro adeguato agli studi fatti. Il 27,8% dei genitori che si autodefinisce di ceto medio pensa anche che sarebbe opportuno per i figli, e in generale per i giovani italiani, trasferirsi all’estero per cercare un lavoro qualsiasi. Il 35,1% dei genitori che si autodefinisce di ceto medio pensa che ai propri figli e ai giovani italiani converrebbe provare a realizzare all’estero il proprio progetto di vita perché l’Italia non è un Paese per giovani.
Formazione possibile chance
Il 66,5% dei genitori che si autodefinisce di ceto medio investe nelle attività extrascolastiche dei figli. In particolare: il 48,9% investe in attività sportive, il 18,1% in lezioni di lingue straniere, il 10,6% in musica, l’8,4% in lezioni di informatica, il 7,9% in corsi di formazione relativi, ad esempio all’acquisizione delle competenze di una particolare professione o mestiere ecc. e il 5,3% in master post-laurea. È il 25,5% dei genitori di ceto medio a finanziare almeno due attività formative extrascolastiche per i propri figli. Il 24,5% dei genitori di ceto medio sarebbe contento se i propri figli frequentassero le scuole superiori all’estero. Il 52,8% dei genitori di ceto medio amerebbe che i figli frequentassero l’università all’estero. Il 71,6% dei genitori di ceto medio ritiene positivo per i giovani laureandi un periodo in Erasmus, cioè un periodo di studio in una università di altri Paesi membri dell’UE.
Cuzzilla: ricucire il Paese
“Il ceto medio è troppo ricco per ricevere aiuto, ma troppo povero per costruire futuro”, ha detto Stefano Cuzzilla, riconfermato Presidente di Cida. “È il momento di ricucire il Paese: servono meno tasse sul lavoro, più equità nel welfare e una nuova centralità del merito. Senza il ceto medio, l’Italia perde crescita, coesione e democrazia economica”