L’appuntamento è di quelli da nodo in gola e trepidare d’attesa: l’esecuzione della Sinfonia n. 8 e della Sinfonia n.9 di Ludwig van Beethoven nella Sala Santa Cecilia dell’Auditorium Parco della Musica Ennio Morricone. La sala gremita conferma la solennità del momento, vibra nell’aria un’emozione di speranza che sempre si rinnova al cospetto dell’esecuzione della pagina della musica in assoluto più conosciuta e carica di speranza, eletta ad inno d’Europa dal Parlamento di Strasburgo nel 1972.
La Nona venne scelta da Leonard Bernstein per l’esecuzione, nel 1989, in una Berlino appena riunificata dopo la caduta del Muro, e ha continuato a esortarci alla fratellanza, fino ad essere riconosciuta dall’Unesco, nel 2001, come “parte del memoriale dell’umanità”. Infinito sarebbe il dire su un’opera eterna, in cui musica e parole per la prima volta vengono messe insieme dentro una Sinfonia; le voci dei quattro solisti e del coro, infatti, nell’ultimo dei quattro movimenti sinfonici, invadono l’aria della sontuosità vocale e di intenti che l’inno alla gioia di Friedrich von Schiller impone. Certamente definire innovatore Beethoven è insufficiente, lui è stato rivoluzione e sintesi, testimoniando con la sua stessa vita la grandezza che le sue opere ci esortano a perseguire. “Abbracciatevi moltitudini! Un bacio al mondo intero! Gioia, bella scintilla degli Dei, figlia dell’Elisio, ebbri e ardenti noi entriamo, creatura celeste, nel tuo santuario! I tuoi incantesimi tornano a legare ciò che la moda ha severamente diviso; tutti gli uomini divengono fratelli” con queste parole, che Beethoven sposa e affida al coro per l’ultima parte della Nona, detta appunto “Corale”, Schiller esorta gli uomini a stringersi fraternamente, contro “la moda” divisiva da cui germina ogni guerra, ogni disuguaglianza. Schiller non saprà mai che i suoi versi diverranno pilastro e augurio della più celebre delle Sinfonie di tutti i tempi, morirà infatti di tubercolosi a 45 anni, nel 1805, dopo aver dato vita, insieme a Goethe al felice movimento del romanticismo teatrale tedesco. Certo è che entrambi, sia Schiller che Beethoven si possono definire affini per indagine ed introspezione, idealismo e visione dell’arte come mezzo di elevazione dei popoli.
La prima esecuzione, il 7 maggio 1824, al Teatro di Porta Carinzia, a Vienna, fu un evento straordinario, che segnò anche l’ultima apparizione in pubblico del compositore: Beethoven aveva scritto le precedenti 8 Sinfonie tra il 1800 e il 1812, poi venne inghiottito dal silenzio della sordità, assorbito dai problemi familiari, lambito dalla disperazione lungo i fianchi dell’utopia del suo pensiero illuminista. Eppure dentro il più cupo tormento, in un periodo storico in cui il nazionalismo più conservatore tornava a detenere il potere, in uno stato di rabbioso pessimismo, Beethoven compone la più trionfante delle sue Sinfonie, un’opera divenuta faro e pilastro su cui fondare una nuova umanità, che si fa salva e viva nell’incontro con l’altro, insegnandoci che proprio attraversando il dolore, senza cedervi, si può arrivare alla luce della salvezza.
Duecento anni fa Beethoven arrivò in teatro in redingote verde, dopo aver cercato invano il suo cappotto nero; alla fine dell’esecuzione il pubblico sventolava entusiasta e commosso fazzoletti bianchi per testimoniare gratitudine ed ammirazione al genio oramai sordo, impossibilitato a percepire il calore di un applauso. Stasera il Maestro Daniele Gatti ha diretto l’Orchestra , il coro, insieme al Maestro del Coro Andrea Secchi, e i solisti Sara Blanch, Eleonora Filipponi, Bernard Richter, Jordan Shanahan, nell’esecuzione della “Nona”, ultimo dei concerti dedicati a tutto il repertorio sinfoniano di Beethoven; un progetto ambizioso che il Maestro Gatti coltivava da diversi anni. Daniele Gatti, Direttore principale del Maggio Musicale Fiorentino e prossimo direttore della Staatskapelle Dresden, ha sempre frequentato il repertorio beethoveniano sul podio di grandi orchestre (Münchner e Wiener Philharmoniker, Gewandhausorchester di Lipsia, Royal Concertgebouw di Amsterdam), tuttavia non affronta l’integrale da quando tra il gennaio 2015 e il maggio 2016 lo ha eseguito con la Mahler Chamber Orchestra.
Tra il 1992 e il 1997 è stato Direttore principale dell’Orchestra di Santa Cecilia, con la quale all’epoca non riuscì a eseguire tutte le sinfonie. Dopo poco più di venticinque anni il suo desiderio si è finalmente avverato, e in merito a questa “integrale beethoveniana” il direttore milanese ha dichiarato: «Proporre l’integrale delle sinfonie di Beethoven con l’Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia era un mio desiderio fin da quando, negli anni Novanta, ne ero direttore principale. All’epoca non ero riuscito a farlo e lasciai il mio incarico stabile con l’integrale delle sinfonie di Brahms. Negli anni successivi sono tornato con quello delle sinfonie di Schumann. Adesso abbiamo finalmente trovato la possibilità di inserire questa “maratona Beethoven” a fine stagione, e ne sono particolarmente felice. Ci rivolgiamo a tutto il pubblico, e specialmente ai giovani, che in un periodo di tempo piuttosto serrato, una settimana e mezza, potranno incontrare il lascito sinfonico di quello che è forse il più emblematico tra i compositori. Mi è infatti capitato spesso di parlare con persone che non conoscevano la musica e la sua storia, tutti però conoscevano Beethoven. È un compositore che travalica i confini, che è entrato nella cultura popolare, la cui musica è un patrimonio universale. Con questo progetto vogliano anche “prendere in contropiede” ciò che ci aspetta tra tre anni: il 2027 sarà l’anniversario della morte del compositore, e saremo felicemente invasi dalla sua arte. Credo che questa “full immersion” possa essere un’occasione stimolante per tutti: anche per l’orchestra e per me».
Il concerto è stato strepitoso, di perfetta armonia e coesione tra tutte le componenti orchestrali, mentre il Maestro è riuscito a sottolineare benissimo il phatos del compositore, quel suo fiorire dalle macerie, la profondissima genesi che muove sempre da una incessante volontà di crescita. Per ben interpretarlo occorre saper tradurre lo sforzo, la tensione, la natura di pietra di note che si fanno via via alito d’angelo, urlo di disperazione che si fa canto di letizia e il Maestro Gatti riesce, in un’orchestrazione sublime, a far emergere questo processo da ogni musicista, in una prova finale magnifica. Particolare merito va al Coro, eccezionale, e alla performance di Sara Blanch.
Occorre sottolineare, tanto quanto è stato capace di farlo il Coro con la sua interpretazione, il messaggio chiave, più attuale che mai, dell’intero corpus Beethoveniano e della Nona Sinfonia in particolare: dice l’inno alla gioia “tutti gli uomini divengono fratelli”, e la scelta del verbo non è casuale, ma pone di fronte ad una precisa responsabilità, ossia “diventare” fratelli. Quindi lavorare per essere fratelli, fare uno sforzo per “diventare”; Schiller non dice “sono fratelli”, perché, come Beethoven, ben conosce l’umano e i suoi baratri, eppure nell’umano confida per salvare l’umano. In definitiva, raramente ho assistito a tanta fusione di grandezza, compositiva, letteraria, esecutiva; solo meraviglie si possono dire di questo concerto e i quasi venti minuti di applauso finale, mentre fantasticavo con lo sguardo, immaginando tra gli spalti, un anziano signore nascosto dentro un redingote verde, hanno dimostrato che il pubblico è d’accordo con me.