venerdì, 26 Aprile, 2024
Attualità

La vera storia delle Olimpiadi raccontata dal professor Daniele Masala

“Lo sport, strumento di pace, inclusione e fratellanza”

“Possano la gioia e i buoni intenti amichevoli regnare, così che la Torcia Olimpica possa perseguire la sua via attraverso le ere, aumentando le comprensioni amichevoli tra nazioniper il bene di una umanità sempre più entusiasta, più coraggiosa e più pura”. Con queste parole il barone Pierre Fredy de Coubertin inaugura la versione moderna delle Olimpiadi, interrotte nel 393 d.C. Non si tratta di una banale trasposizione di modelli, riti e usanze resuscitate dal passato, ma la riscoperta dello spirito e della filosofia generale che le caratterizzava. Sono gli ideali sportivi di fratellanza planetaria ad affascinarlo come l’ekecheirìa, la tregua generale dai combattimenti durante le competizioni, la famosa Pax olimpica. Impegno, costanza, sacrificio ma anche lealtà, coraggio, equità e fair play. Su questi cardini riparte da Atene nel 1896 la grande avventura olimpica raccontata nel libro “Vincitori e vinti” di Daniele Masala, pluri-oro alle Olimpiadi di Los Angeles, oggi coordinatore degli studi di Scienze Motorie presso l’Università di Catanzaro, che ne svela il vero volto.

Un libro sui vincitori ma anche sui vinti, come mai?

Perché la storia delle Olimpiadi nella sua vera essenza è una lunghissima galleria di atleti impressi nelle nostre memorie più per la loro umanità che per le medaglie conquistate. Una grande, immensa fucina di esempi morali e spirituali da emulare. La vittoria o la sconfitta, cadere e rialzarsi, rispetto, fatica, sudore, emozioni, rivalità e al contempo amicizia, sono il paradigma della nostra intera vita, dentro o fuori di uno stadio. Da qui il magnetismo dello sport, qualcosa in cui identificarsi e appassionarsi.

La massima agone sportiva ma talvolta anche palcoscenico di impegno politico come ci ha ricordato il recente caso della maglietta indossata dall’Ucraina allenata da Andriy Shevchenko agli europei con tanto di profilo della Crimea annessa….

Il sistema valoriale sportivo è un paradigma politico. Nelson Mandela diceva che “lo sport porta speranza dove c’è disperazione, parla una lingua che tutti comprendono”. Quale occasione migliore delle Olimpiadi per manifestare solidarietà verso le cause dei diritti umani calpestati? Tutti ricordano il pugno chiuso dei due atleti statunitensi Tommie “Jet” Smith e John Carlos alle Olimpiadi di Messico ’68 contro il razzismo. E l’australiano Peter Norman, secondo classificato, che appuntandosi la spilla dell’”Olympic Project for Human Rights” sul petto, rese ancora più dirompente la protesta in mondovisione. Un gesto che lo penalizzerà per tutta la vita, ma “quel giorno diventammo fratelli”, raccontò 25 anni dopo Carlos. Ricordiamoci, poi, che è a intorno a un tavolo di ping pong che si sono parlate per la prima volta le due super potenze, Cina e Stati Uniti, nel 1978 o che i primi dialogare, tra americani e sovietici, furono Fischer e Karpov nel 1975 davanti a una scacchiera.

Storie di solidarietà, quindi, ma anche di riscatto esemplare per i giovani

Certo. Esempi di riscatto dai pregiudizi, dalla povertà, dalle malattie, dalle oppressioni e dalle discriminazioni, scolpiti nell’eternità. Come la storia di Wilma Rudolph, statunitense di colore, che da bambina aveva rischiato di non camminare per aver contratto la poliomielite e, invece, sarà capace di vincere tre medaglie d’oro. O la storia di Abebe Bikila, che vinse a piedi nudi la maratona di Roma, diventando simbolo di un’Africa che cercava dignitosamente il riscatto e la liberazione dal colonialismo europeo. «Morire non è una catastrofe, la catastrofe risiede nel dover dormire affamato».

Eppure nel PNRR non c’è nulla per le società sportive

È una assurdità. Lo sport rappresenta a terza agenzia culturale dopo la famiglia e la scuola, dobbiamo prenderne tutti atto. Anzi, negli anni più delicati della formazione, quelli della adolescenza, direi che diventa la prima se non l’unica.

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