venerdì, 19 Aprile, 2024
Il Cittadino

Zaki, la pagliuzza e la trave

La vicenda di Zaki, il ricercatore egiziano dell’Università di Bologna, prigioniero senza processo da quasi un anno e mezzo del regime egiziano di Al-Sīsī, mi ha profondamente turbato, al punto di essermene già occupato “giornalisticamente” almeno altre due volte.

Turbamento più che ovvio e molto condiviso, al punto che si è determinata un’insolita unanimità e garantistica indignazione di fronte alle leggi egiziane che hanno consentito l’arresto del ricercatore con l’accusa di attività sovversiva contro lo Stato (egiziano, naturalmente), per le opinioni da lui espresse. Si tratta, in effetti, di leggi di un sistema diverso dal nostro e che, agevolmente, con la nostra cultura democratica, riteniamo assunte in violazione del Diritto.

Ma al di là di questa indignazione la vicenda di Zaki mi ha indotto ad una serie di riflessioni sulla legge in generale e sul nostro sistema giustizia: che mi è parso opportuno esternare, con la generale avvertenza e premessa che il pensiero che cercherò di svolgere dovrà essere inteso col necessario distinguo delle differenze tra un regime illiberale ed uno Stato di diritto.

In realtà la denuncia del sistema barbaro della giustizia di regime – sulla quale si è determinato questo conformismo culturale – non può assolverci dall’obbligo di vigilare anche alle nostre latitudini.

Innanzitutto una riflessione sulla legge, che non sempre coincide col Diritto. La legge risponde spesso a situazioni contingenti e, spesso, è addirittura contraria al Diritto, come a noi sembrano le leggi egiziane che hanno consentito l’arresto di Zaki. Con il confine, in uno Stato di Diritto, della inviolabilità dei principi stabiliti dalla Costituzione: senza questi limiti, “per legge”, si deportavano i cittadini italiani di religione ebraica nei campi di concentramento (non dico “ebrei” perché credo si debba sottolineare il loro essere nostri connazionali).

Dal mio punto di vista e secondo la mia sensibilità giuridica l’ordinamento italiano è costellato da centinaia di disposizioni che violano la Costituzione, minano i Diritti fondamentali dei cittadini, consentono prevaricazioni da parte del potere. Ed è irrilevante, ai fini giuridici almeno, notare che su tali normi “speciali” spesso si determina un consenso “ideologico” e popolare: ma la folla non cerca di amministrare giustizia, ma  spesso invoca solo gogne e linciaggi.

La seconda riflessione è un inno all’autonomia della magistratura proclamata dalla nostra Costituzione e dalla tripartizione dei poteri montesquiana.

Solo un giudice autonomo dal potere, annotavo, “ed in condizione, in un conflitto tra il potere (quasi sempre rappresentato dallo Stato o da una pubblica amministrazione) e il cittadino, di tutelare quest’ultimo e le sue libertà e prerogative individuali, sono il cardine dello Stato di Diritto… Non c’è dubbio che la giustizia, se asservita al potere, acquista solo una funzione punitiva, uno strumento eccezionale nelle mani del dittatore”.

Pericolo lontano da noi: è sufficiente soltanto che la magistratura, rigorosamente mantenga il suo ruolo giurisdizionale, resistendo alla tentazione di invadere il campo del legislatore: non sempre ci riesce.

Il terzo ed il quarto rilievo attengono al modo in cui si sta realizzando la prigionia di Zaki, con questi ripetuti ordini di custodia di 45 giorni, basati sul nulla e rinnovati ad ogni scadenza; e con l’applicazione di un carcere preventivo senza che sia fissato alcun processo. Carcere preventivo che dovrebbe essere – in uno Stato di diritto e democratico, almeno – uno strumento eccezionale, raro e breve. In Egitto, leggo, può durare due anni; da noi, temo, per alcune accuse (non reati, perché quelli devono essere accertati non ipotizzati), anche di più 

Su questi due punti una riflessione da parte del legislatore – che è sempre il responsabile: non prendiamocela col giudice che applica le leggi che gli vengono date – sarebbe necessaria. Una riforma dovrebbe limitare a casi rarissimi e precisamente descritti il carcere preventivo: ciò che mi sembra essere nelle corde della Ministra Guardasigilli.

Ma dovrebbe anche evitare la soluzione egiziana: di piccoli “fermi” reiterati senza soluzione di continuità che finiscono col concretizzare l’abuso più grande.

Un po’ il trucco con cui sono state violati, nell’emergenza Covid, un bel po’ dei nostri irrinunciabili diritti fondamentali: divieti di settimana in settimana rinnovati, laddove nessun provvedimento, se avesse previsto un tempo così lungo, avrebbe superato la verifica di costituzionalità.

Insomma quando guardiamo negli occhi del sistema egiziano e vediamo la trave dell’abuso del potere, domandiamoci se anche noi non abbiamo qualche pagliuzza da rimuovere.

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