sabato, 20 Aprile, 2024
Manica Larga

Crisi sociale e arroganza manageriale

Provengo da un’area deprivata del Sud, da cui sarei poi andato via in cerca di fortuna altrove. Non ho avuto il coraggio di restare. Ho avuto il coraggio di andare. Non capisco il primo. Conosco molto bene il secondo. Nel mio zaino ho messo tutto il rispetto e l’amore per la mia terra.

Nelle mie traiettorie, a tratti confuse, ho speso una stagione della mia vita a cercare di capire come funziona un’azienda, ne ho fatto parte per anni. Ho toccato con mano cosa vuol dire quella che gli studiosi chiamano “hubris”, ovvero quella specie di arroganza che ti porta fuori dal mondo e spesso a fare scelte fuori controllo.

Forse dipende, per usare le parole di Brunello Cucinelli, imprenditore partito da un borgo e cresciuto con esso, dal fatto che quando si ha successo si smette di ascoltare. D’altronde, uno dei miei vecchi capi me lo aveva suggerito in tempi non sospetti: le aziende sono da maneggiare con curaperché sanno essere prigioni dorate.

Questo concetto di prigione dorata avrei trovato comodo usarlo anche in altri contesti, come i social per esempio, da quelli generalisti, per usare un brutta parola, fino a quelli professionali. Ed è in questi ultimi che mi imbatto, quelle rare volte in cui decido di farmi un bagno di tossicità, in comunicazioni che non capisco se siano più forme di employer branding o autocelebrazione fine a se stessa atta a solleticare gelosie altrui. Detto in parole povere, mi sfugge il senso di tanta comunicazione, ovvero cosa vuoi dire, a chi lo stai dicendo e perché lo stai facendo proprio in quel momento.

 

QUESTIONI DI COSCIENZA

Ecco, io questo non riesco a capire. Non riesco a capire, per esempio, come fa il manager di tale azienda a vantare vittorie personali mischiate a vita familiare splendida, massime sulla perfetta gestione delle ambizioni personali e strabilianti risultati di vendita quando magari, proprio tale azienda, ha in programma di mandare a casa migliaia di persone e di spegnere la luce su territori interi.

Non riesco a capire con che coscienza si possa pensare di alzare un trofeo in faccia a migliaia di lavoratori che, specialmente al sud, cercano di tenere in piedi la propria dignità davanti agli occhi dei propri figli. Per un padre e una madre, parlo per esperienza diretta, non c’è niente di più devastante.

Non riesco a capire con che coscienza si possa, in totale assenza di dubbio, vendere soluzioni certe in un momento storico in cui si naviga a vista. E poi, non riesco a capire perché spesso manchi quello che chiamerei il buon senso della misura, ovvero la capacità di capire che a volte è questione di opportunità, opportunità di fare quel passo indietro che la vita adulta richiede a quella che sembra essere solo un’adolescenza senza fine.

Con questo non si vuole fare la morale a nessuno, sia ben inteso, perché ciascuno è libero di prendersi le patenti che preferisce, ci mancherebbe. Noi si fa per capire, per capire per esempio le radici di certe fratture sociali che invece di essere smussate rimarcano con forza precise distanze in una fase in cui, in fondo, siamo tutti molto soli.

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