venerdì, 26 Aprile, 2024
Società

La Privacy rileggendo Faulkner

Il dibattito sul diritto alla riservatezza è sempre di attualità. Di recente la materia è stata ridefinita dal Regolamento europeo del 2016, che indiscutibilmente assicura una più compita tutela ai privati.

In questo contesto, per comprendere il problema nella sua dimensione storico-culturale, forse è utile rimeditare il breve saggio (Privacy, -In sogno americano che ne è stato?) che Faulkner ha dedicato alla privacy, poiché esso offre significativi spunti di riflessione ed è anche utile per comprendere quale sia la concezione statunitense della riservatezza. Al riguardo non è superfluo tener conto di quanto scriveva Alexis de Tocqueville sull’importanza assunta dall’individualismo nella democrazia in America, poiché è la centralità dell’individuo a costituire il substrato culturale del breve saggio dello scrittore statunitense.

Un giornalista Robert Coughlan aveva scritto sul settimanale Life Magazine di Faulkner -nonostante il suo dissenso-, ma non del suo lavoro o sulle sue opere, ma su di lui «in quanto privato cittadino, in quanto individuo». La tendenza a violare la riservatezza, per il nostro autore, è una malattia che risale al tempo in cui in America del nord si decise che le semplici verità morali sottoposte all’arbitrio e al controllo del buon gusto e del senso di responsabilità erano diventate obsolete ed andavano buttate a mare. Sì perché per Faulkner –che non volle fare causa al giornale, che aveva violato la sua riservatezza- il rispetto della privacy era essenzialmente una questione di gusto. Il problema, scrive Faulkner, è che «oggi in America qualsiasi gruppo o organizzazione, per il semplice fatto di operare sotto la copertura di una espressione come Libertà di Stampa o Sicurezza Nazionale o Lega Anti-Sovversione, può postulare a proprio favore la completa immunità riguardo alla violazione della individualità». E tutto ciò, quantunque sia certo – scrive – che, in assenza della riservatezza, l’individuo non può essere più considerato tale e senza la tutela della propria individualità l’uomo non vale più nulla che valga la pena essere o continuare ad essere. Per difendersi dagli attacchi alla propria individualità bisogna essere membri di una organizzazione abbastanza potente e da far spaventare e tenere tutti alla larga. Solo che agli artisti è preclusa tale possibilità, poiché, essendo essi degli individui, non potrebbero associarsi neanche in due, figuriamoci in numero sufficiente.

Faulkner, d’altra parte, non sembra serbare rancore nei riguardi di chi ha leso la propria riservatezza, ha ben presente che la stampa ha esigenze economiche, che riesce meglio a soddisfare se, grazie a servizi di «cattivo gusto» su personaggi di rilievo, aumentando la vendita dei giornali.

Assume in questo contesto il vecchio – e sempre attuale – problema di come mediare la dialettica tra i due valori della libertà di stampa e della tutela della persona. È legittimo dare pubblicità alla vita privata di una persona, anche se si tratta di una persona nota? Il problema, nel corso degli anni, ha conosciuto soluzioni differenziate, ma il pensiero di Faulkner al riguardo non dà adito a dubbi, se si considera l’esordio del discorso che egli tenne, quando andò a ritirare controvoglia il premio Nobel. «Signore e signori, sento che questo premio non è per me in quanto uomo, ma va al mio lavoro», quanto dire che per il nostro non poteva assumere rilievo la sua persona, ma il suo lavoro. L’uomo-artista può interessare il pubblico solo se commette un atto illecito, un delitto o inizia a fare politica.

E così Faulkner prende atto del tramonto del Sogno Americano, che esaltava la persona, che viene sacrificata, poiché il «cattivo gusto» è divenuto un bene commerciabile e, pertanto, tassabile. La violazione della riservatezza, in altri termini, massifica gli introiti della stampa e, quindi, aumenta gli introiti del fisco.

Il breve ma intenso saggio del grade scrittore statunitense è velato dal suo consueto pessimismo, ma anche da una certa dose di conservatorismo, visto che Faulkner, uomo di uno stato del Sud, non faceva mistero delle sue idee.

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